domenica 23 dicembre 2012

Racconto n. 1

Ogni cosa al suo posto

Un soffitto con tracce antiche di un affresco, una grande finestra sul giardino quadrato del convento, alberi di limoni, un grande fico al centro. " Lo ha piantato un frate, durante la guerra, almeno così raccontano, è più probabile che sia nato spontaneamente, un seme negli escrementi rilasciati da un uccello di passaggio. La storia del frate è più romantica, è morto, dicono, poco dopo la guerra, era ancora giovane, non ha visto crescere il suo albero, era il frate giardiniere, un ragazzo che non aveva studiato, che era cresciuto in campagna e conosceva i segreti delle piante" la signora dell'agenzia immobiliare sorride, si capisce che la storia le piace ma è incredula, il piccione che evacua un seme di fico la convince di più. L'affitto non è esoso. " Non sanno che farsene di questa casa, sono ricchi, pieni di appartamenti, questo è sfitto da tanto tempo e non vogliono che si degradi, si sa, le case se non sono abitate vanno giù". " Io ci farei un ufficio, uno studio". " Sì, è possibile destinarlo anche a ufficio. Di cosa si occupa?". " Scrivo". " Ah, che bello, e cosa scrive?" chiede condiscendente, si capisce che è incuriosita ma che non crede che scrivere sia un lavoro. Ho la tentazione di risponderle che scrivo manuali di economia per l'università e osservare il cambiamento di espressione sul suo viso. Invece rispondo: " Scrivo romanzi". " Ah, che bello" dice senza cambiare espressione.
Passo il giorno dopo in agenzia a perfezionare il contratto e a prendere le chiavi. " Ho dimenticato di dirle che l'impianto elettrico è a norma di legge, lo avrà notato anche lei ma- fa un sorrisetto - si sa, gli scrittori pensano ad altro. A proposito mi scriva qui un titolo di un suo libro che magari lo compro e lo leggo, poi le dico se mi piace. Sa, io adoro la Mazzantini". Mi porge un post it giallo. " E' brava la Mazzantini - dico  mentre scrivo - però , se la adora, non credo che le piaceranno i miei libri". " E perchè?- assume un tono gentile - dicevo così per dire, certo è una scrittrice molto famosa, anche una bella donna, di Non ti muovere ho visto anche il film, mi è piaciuto meno forse perchè..."
" ...aveva già letto il libro" la anticipo. " Sì, è sempre così vero? Comunque ho pianto sul libro e sul film"dice compiaciuta.
Le tracce di affresco sono ali e vesti di angeli e macchie azzurre di un cielo che di sicuro un tempo regalava spazio e respiro alla grande stanza. " Sarebbe da restaurare - osserva il muratore venuto per decidere i pochi lavori che posso permettermi - io ho un amico, onesto, che fa questi interventi"
" Ma no - dico - lasciamolo così, non tocchiamo nulla, prima bisognerebbe informarsi se è sotto tutela, poi ci deve pensare il proprietario, al massimo chiedi al tuo amico se c'è qualche prodotto per fissare la traccia che è rimasta, per impedire che si sbricioli, però, certo, anche questo non dovrebbe essere un problema mio". " L'impianto elettrico è a norma, non lo tocchiamo - dice il muratore - cambiamo i sanitari del bagnetto e verifichiamo gli scarichi, mettiamo un piccolo scaldabagno elettrico e aggiusto questi gradini di ardesia altrimenti finisce che un giorno, magari che piove, entra e scivola, sono antichi ma bisogna sistemarli un po', anche questi ferri che sbarrano la porta sono pesanti, sicuri lo sono, guardi quanto entrano nel muro, però è meglio un altro sistema, come fa a spostare questi ferri ogni volta che ha bisogno di spalancare la porta? Pesano più di lei". Una settimana di lavori, l'ultimo giorno mi presento per pagare il muratore e prendere possesso dello studio. Mi aspetta, in piedi con le braccia conserte, prima ancora di salutarmi accenna con un movimento della testa, una leggera rotazione, a una mensola di ardesia, unico resto forse di una libreria. Un oggetto giallo roseo contrasta sul nero. " Guardi un po'" dice lui. Mi avvicino, osservo l'oggetto, lo prendo, è leggero, sta nel cavo della mia mano, è irregolare, ha una parte che sembra friabile ma al tatto è compatta e ruvida, per il resto è liscio, quasi levigato, ha una parte concava e una bombata, nell'insieme ricorda un frammento di una decorazione a volute. " Dove l'ha trovato? E' una decorazione, stucco, gesso?". "E' un osso" dice.
" Un osso? Ma no!" . " Le dico che è un osso. Cosa crede? Faccio il muratore ma a scuola ci sono andato e le ho viste le ossa umane nel laboratorio di scienze. E' un osso, per essere molto antico dovrebbe essere più calcificato però, magari è del Settecento o dell'Ottocento". Mi rigiro l'oggetto fra le mani, non glielo dico ma io ossa umane non ne ho mai viste, forse non ci andavo al laboratorio di scienze, non mi ricordo. " L'ho trovato mentre smuravo i ferri, ho dovuto rompere il muro e mi è rotolato ai piedi questo". " C'era altro?" . " Ah, io non lo so, ho riempito subito il buco, chiuso tutto, non ne voglio sapere" simula un brivido, non riesce a dissimulare un fondo superstizioso. Rido: " Sa cosa faccio, lo tengo qui come portafortuna dello studio, gli do anche un nome, lo chiamo Cirillo, però lo farò esaminare da un amico medico perché non sono convinta. Le telefonerò il risultato, vedremo chi ha ragione".
Quando arrivano i mobili, Cirillo finisce in un cassetto insieme a matite, penne e oggetti di cancelleria. Le ultime giornate di autunno mi aiutano ad addomesticare il nuovo spazio per la mia scrittura, cambio di continuo posto alla scrivania poi, finalmente, lo trovo, proprio sotto la grande finestra, voglio guardare il grande fico mentre scrivo, ora è spoglio, ritaglia il cielo con i rami, ha il colore freddo dell'inverno che si sente nell'aria. Mi impongo un orario da impiegata, incomincio a scrivere alle nove del mattino, esco dallo studio alle cinque del pomeriggio, ho allestito un piccolo angolo cottura e mi concedo un' ora e mezza di pausa per mangiare e leggere il giornale. Se non riesco a scrivere il romanzo che ho in testa con questa disciplina, penso, non ci riesco più. Mi sono data un tempo, due anni, un investimento nell'affitto di uno spazio solo per scrivere, non più di due anni, se non succederà nulla abbandonerò il campo. Un pomeriggio, una pioggia torrenziale mi blocca in studio dopo le cinque, in attesa di andar via controllo la posta, mi rilasso navigando in Internet. D'improvviso un colpo, penso a un fulmine, uno spostamento d'aria, la luce va via e un odore di bruciato mi aggredisce le narici. Mi alzo di scatto, con la torcia del cellulare mi avvicino alla nicchia del contatore, è spento, è spento anche il salvavita, premo tutte le leve che rispondono molli alla mia pressione. L'odore di bruciato in quel punto è più intenso, non c'è dubbio che sia un cortocircuito. Ispeziono il muro intorno e in alto, tra la nicchia del contatore e la porta d'ingresso vedo una larga macchia nera intorno a una guaina che riveste fili elettrici. Apro la porta, esco nella luce del pianerottolo, suono a un vicino. " Scusi, nel mio studio ci dev'essere un cortocircuito, c'è odore di bruciato, si sente anche da qui, cosa faccio?Chiamo i vigili del fuoco? - chiedo a chi mi ha aperto, un signore di circa cinquant'anni che mi sembra abbia l'aria quasi pentita di aver aperto.  " Vengo a vedere" dice, accostandosi la porta alle spalle. Entra, osserva la macchia poi dice: " Non c'è bisogno, il salvavita ha retto, i fili riguardano l'Enel perché sono prima del contatore, bisogna chiamare il loro pronto intervento, è capitato anche a me una volta, magari impiegano un po' ma vengono". Chiamo, aspetto un'ora, arrivano. I fili si sono polverizzati, un'altra ora per un allaccio provvisorio. Mi spiegano qualcosa che capisco poco, comunque la luce torna, il mio computer con tutto il lavoro è intatto, loro torneranno, mi basta.
Racconto a Pier del nuovo studio, dell'osso Cirillo e del cortocircuito, avventure di una scrittrice. " Non ci credo che tu l'abbia chiamato Cirillo pensando che ti porti fortuna". " Perche?". " Cirillo?! Il nemico di Ipazia, il distruttore della biblioteca di Alessandria ! ". Rido però mi impressiona.
Passo dall'agenzia : " Buongiorno, pensavo alla storia del frate e del fico, sa per caso come si chiamava il frate?" . La signora dell'agenzia sorride complice " Mi vuol rubare la storia eh? Vuole metterla nel suo romanzo. Mi dispiace ma non lo so però la storia me l'ha raccontata il sacrestano del convento, chieda a lui, si chiama Genio". Cerco Genio, un uomo vecchio, molto curvo che, a passi lenti, mi accompagna nel giardino quadrato, dall'aiuola del fico vedo la mia finestra, noto che è la più grande e alta su quel lato del palazzo che segna un tratto di perimetro del giardino. " I primi due piani erano tutti del convento - spiega Genio - poi, dopo la guerra, dopo i bombardamenti, quando si è cominciato a ricostruire, c'è stato un parroco che ha ceduto degli spazi come abitazioni per gente che casa non ne aveva più, a poco a poco sono stati inglobati nei palazzi" . " Quella è la finestra del mio studio, l'ho preso in affitto da neanche  un mese, c'è pure un soffitto con i resti di un affresco, cos'era, lo sa?". " Quella stanza, insieme ad altre vicine che forse ora fanno parte di altri appartamenti, era la biblioteca del convento, i libri sono andati persi quasi tutti, col bombardamento. Anche questo giardino era pieno di macerie, c'è voluta tutta la tenacia di quel frate di campagna, lo ha fatto rinascere. Come ultimo gesto ha piantato il fico ma non l'ha visto crescere, dopo meno di un anno si è morto sa di una di quelle influenze che c'erano una volta e uccidevano, però il giardino continua a vivere." Facciamo un lento giro del giardino, prima di andarmene gli chiedo. " Come si chiamava il frate?". " Frate Agostino, era un uomo semplice, senza istruzione,si era scelto un nome importante e aveva fatto bene perché era senza istruzione, non senza cultura".
Domenica pomeriggio, Pier con uno scalpello rompe il muro vicino alla porta, poco sotto la macchia di bruciato, io sono pronta con cazzuola e cemento. Una piccola nicchia accoglie l'osso che  solennemente, ad alta voce, rinomino Agostino, prima di richiudere con il cemento.
Io e Pier beviamo un bicchiere di vino rosso davanti alla finestra aperta, il freddo ci intirizzisce le dita ma il vino ci scalda. Un uccello zampetta da un ramo all'altro del fico.

domenica 2 settembre 2012

DIARIO D'AGOSTO 31

Trentuno agosto. Ultimo post ritardatario. Temo che da adesso in poi avrò meno tempo per questo blog.  Si torna a casa. L'ultimo giorno di Officina Letteraria ad Apricale sarà ricordato come il giorno dell'arcobaleno tra Apricale e Perinaldo, un arco trionfante che sembrava nascere dal Merdanzo, il fiume del Barone Rampante. La piazza di Apricale lucida di pioggia, tutti i membri della comunità di Officina corrono fuori dal portico e dal bar urlando di stupore e di gioia, con le macchine fotografiche, i cappellini da pioggia, le mantelle e gli ombrelli. E' l'immagine che mi porto a casa, insieme al brindisi per il compleanno di Paolo in biblioteca, alle lacrime di Olimpia, alla cena sotto il portico della Ciassa, stretti stretti perchè da dodici siamo diventati venti, ventuno, ventidue. Qualcuno si è arrampicato fin lassù, ha affrontato i tornanti con la macchina o con la corriera, come Giulia, per riunirsi alla comunità anche solo una sera, quella del reading. Dieci racconti, era la missione del gruppo e alla fine eccoli, da 4000 a 9000   battute spazi inclusi, scritti, rivisti e stampati, letti dagli autori o dalla voce sapiente e roca di Bruno Cereseto. Piove, fa freddo, rinunciamo alla piazza, scegliamo l'Atelier, anche qui stretti, tutti insieme, un po' di apricalesi e gli amici che sono venuti ad ascoltare, i bambini e Andreas, Charlie, Gabriele, Adriano, Roberta, il piccolo Arturo protagonista di un racconto. Mentre il diavolo di Apricale, incontrato da Clara, se la ride e si lascia cullare dal blues di Mauro e Giulia, Isidora riappare al suo amato, un gufo racconta una storia di templari, il saltimbanco torna a cercare Nina, una donna compra una casa e decide di fermarsi per sempre, un'altra scopre il luogo delle mimose e dimentica il fidanzato,una giapponese ritarda il ritorno, un ulivo ricorda un uomo che andava per mare, i gatti parlano- come lo Stregatto, i gatti di Apricale parlano - e temendo d'essere deportati si nascondono in un posto che solo un bambino conosce.
Storie di Apricale, storie ad Apricale.

giovedì 30 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 29 & 30

Ventinove e trenta agosto. Alla luna manca un frammento, ci avviciniamo al plenilunio. In queste notti la piazza di Apricale invita alla jam session, le chitarre passano di mano in mano, salta fuori un'armonica, chi ascolta lo fa con tutto il corpo, mi aspetto che qualcuno non resista e si alzi per ballare, forse accadrà per il plenilunio. Giornate noir, il laboratorio di Officina è condotto da Bruno Morchio, anche chi non ama il genere si cimenta e lo fa con onore. Pomeriggi alla Perec, esauriamo il luogo dai nostri punti di osservazione, registriamo i micro avvenimenti: un casco giallo posato su un tavolino, signora in beige che scende in piazza e passa davanti all'oratorio di San Bartolomeo, cane nero al guinzaglio, uomo con la macchina fotografica, l'ape verde della spazzatura, vecchio con cappellino e bastone, bambini che si consultano intorno a una pozzanghera, giovane donna incinta seduta sulla panchina di pietra a lato della porta del Municipio. Esauriamo il luogo per impadronircene e portarlo via ora che siamo quasi alla fine delle ferie. Sere leggermente alcoliche, il bianco della Ciassa è fresco e gradevole, scopriamo che è un moscato portato al termine della fermentazione, informazione che arricchisce la nostra cultura ma non fondamentale. Il bianco va giù che è un piacere, questo basta.


mercoledì 29 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 27 & 28

Ventisette e Ventotto agosto. Arrivati. Sono dieci, sono i corsisti di Officina Letteraria. Sono in paese da due giorni e già il paese ne parla. Ognuno di loro è stato abbinato a un apricalese che lo aiuti a entrare nella storia, nello spirito del luogo, che lo avvicini ad una esperienza di vita. Si incontrano al bar della Ciassa e parlano davanti a un caffè o a un bicchiere di bianco, vanno in visita in casa e parlano servendosi di un biscotto e un dito di liquore, sfogliano album di fotografie, scoprono orti e serre, frasi incise nella pietra, soprattutto ascoltano storie.
Claudia e io, da oggi anche Bruno. La biblioteca è la nostra officina ad Apricale, leggiamo, smontiamo testi, scriviamo, fantastichiamo e ci misuriamo con una disciplina che, giorno dopo giorno, ci porterà a un racconto, una storia nata qui.
Come nascono le storie? Al tavolino vicino a noi una coppia di tedeschi legge, studia, osserva il paesaggio in silenzio, lui è magro e gentile, lei sorride ma spesso è assorta ed è androgina, elegante, bella. Ci sembra che scriva parole e note su un foglio e canticchi tra sé, sarà una cantante, pensiamo, lui forse il suo impresario. fidanzati o amanti. Lei si gira e sorride, ci saluta, si accorge che la osserviamo. Claudia le scatta una foto. La sera nell'Atelier si canta il blues, la ragazza che parla con i muri e l'uomo scanner si trasformano in un duo affiatato e raffinato, la chitarra passa di mano in mano, un ragazzo suona musica calda del sud, una giovane studiosa polacca canta con accento calabrese e poi in perfetto francese, cantiamo tutti De Andrè, lui ci accompagnerà sempre. Renato, che non è uno scrittore e preferisce la realtà all'immaginazione, attacca discorso con i due tedeschi, fa amicizia e il romanzo finisce: sono due graphic designer di Berlino, lui è anche chitarrista e si sforza di parlare italiano. Non so come sia accaduto ma, ad un certo punto, cantiamo tutti insieme e cantiamo l' Internazionale. I due tedeschi cantano a squarciagola, qualcuno canta con il pugno alzato. Serata blues ad Apricale.

lunedì 27 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 26

Ventisei agosto. Il temporale ha rinfrescato, la pioggia ha lavato il paesaggio, ci crogioliamo al sole in piazza finalmente senza il bisogno di ombra. La signora Rita che ha settantuno anni e tutte le mattine va " a fare la campagna" con un abito azzurro di cotone  e il cavagno sulla testa, ha potuto prendersi un giorno di vacanza, anche se, dice, la pioggia non è stata sufficiente nemmeno per scendere sotto le foglie delle piante. Di solito la vedo dalla mia finestra, parte poco dopo i rintocchi delle sette, imbocca il sentiero segnato e poi comincia salire tra le fasce seguendo una mulattiera scomparsa ma che lei conosce, fin da bambina.Sale con lentezza, addolcisce la salita disegnando molte curve, una mano sul fianco.La vedo scomparire in una macchia di ulivi e poi scorgo l'azzurro del vestito più su, si ferma dov'è una casa in pietra, lavora e dopo mezz'ora riparte, si inerpica fino a un'altra casa in direzione di una cisterna. Quando il sole comincia a bruciare lei è già in piazza, davanti alla porta della chiesa, con le braccia conserte. " La vedo, lo sa? La vedo dalla finestra, tutte le mattine" " Ah si?Meno male che qualcuno mi guarda, sono sempre sola, ora mi sento un po' meno sola se qualcuno mi controlla". Le prometto che la saluterò sventolando un tovagliolo come faceva mia nonna quando ero bambina e andavamo in montagna, passavamo col treno davanti a casa sua a Sestri Ponente e lei era là, salutava con un tovagliolo bianco. Io ero contenta.

sabato 25 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 24 & 25

Ventiquattro e venticinque agosto. Il mondo gira intorno al piccolo Arturo. La ragazza burattinaia sembra una donna degli altopiani d'Africa, corre leggera con il bimbo sulla schiena, sale e scende di continuo la via San Bartolomeo, attraversa la piazza, più e più volte al giorno.
Il paese aspetta che Arturo cammini, sta quasi per compiere un anno e le sue energie stanno aumentando, urla per chiamare i bambini che giocano in piazza, sembra che dica ehi aspettatemi, vengo anch'io!.
La ragazza che parla con i muri e l'uomo scanner se lo mangiano con gli occhi, inventano scherzi buffi, si vede che fantasticano, che attraverso Arturo sperimentano un desiderio.
Ricordo quando anche per me era così. Ora il mio desiderio ha subito la metamorfosi degli anni senza perdere freschezza, soltanto che, grazie ad Arturo, posso fantasticare su quando sarò nonna.
Un giorno, quando ero al liceo, un mio professore - che era di queste parti, di Perinaldo - ci ha annunciato d'essere diventato nonno per la seconda volta "ragazzi, sappiate che l'amore per il nipote è molto più grande dell'amore per il figlio, perché contiene l'amore per il figlio più l'amore per il nipote". Un amore raddoppiato.
In paese c'è un nonno che ha scritto la storia della famiglia in sei copie, per i figli e per i quattro nipoti e ai suoi nipotini più piccoli racconta la leggenda dei nomi dei paesi della valle. Rinaldo, paladino di Francia, col suo cavallo Baiardo, si trovava su un monte quando gli muore il cavallo, allora lo seppellisce e dice " questo posto si chiamerà Baiardo". Prosegue a piedi e quando si riposa dice qui sono venuto a piedi quindi questo posto si chiamerà PeRinaldo, proseguendo trova un borgo con un castello e tutte le porte chiuse, chiama per farsi aprire, bussa Apricalle! Apricalle! Scendendo si ferma in un posto dove gli danno da mangiare e poiché il luogo sembra un'isola sul fiume sceglie il nome Isolabuona, più giù trova un campo di papaveri e dice questo è Camporosso, arriva al confine con la Francia e guardandosi indietro dice " ho percorso Venti miglia".
La piazza aspetta che Arturo cammini, che scopra il mondo, che nomini i luoghi, le persone, le cose.

venerdì 24 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 22 & 23

Ventidue e ventitre agosto.  Questo post potrebbe essere intitolato Persone. Un amico di Apricale emigrato negli Stati Uniti, da quando è in pensione trascorre sei mesi ad Apricale e sei mesi in una città dell'Indiana che è ormai la città della sua numerosa famiglia. Viene con sua moglie, sistemano la casa dei nonni, lui recupera la memoria del passato, lei migliora l'italiano. Ci propone un doppio aperitivo, appuntamento in piazza alle diciotto, la prima tappa a casa sua, chiacchiere, racconti, vino e stuzzichini, la seconda tappa a casa nostra, stesso format. La sua casa è piena di storia, una casa medievale nella parte più antica del borgo, i mobili dei nonni e dei genitori, le fotografie di tre generazioni. Il suo racconto è pieno dello spirito di un grande paese, con tutte le contraddizioni che conosciamo ma che è diverso vivere ogni giorno, dice di non aver mai perduto l'accento italiano e di essere stato a volte discriminato per questo, dice di aver avuto grandi opportunità anche senza ver studiato, di aver conquistato posti di responsabilità con la qualità del suo lavoro, delle competenze acquisite strada facendo. Mi viene in mente che, quando ero una ragazzina, questo è sempre stato il mito di mia madre, si entra come correttore di bozze e si diventa direttore del giornale, si entra come impiegato e si diventa amministratore delegato, poi ha smesso di dirlo. Raccontiamo del nostro viaggio in Etiopia, i nostri amici sono curiosi, presto avranno due nipotine adottive dal Congo. Qui, ad Apricale, si beve il Rossese o un bianco fruttato che va giù " fino alle unghie dei piedi" dice uno degli ultimi vecchi, seduto in piazza al fresco. A metà del racconto il nostro amico dà lo stop, si parte per la seconda tappa. Ci inerpichiamo fino in cima alla via San Bartolomeo, man mano che si sale le case sono più giovani, il paese si è esteso sulla collina nell'Ottocento e nel primo Novecento, mantenendo il carattere identitario più forte, la pietra. La nostra casa ha molte finestre, è piena di vento, guarda il paese dall'alto, la casa giusta per chi non ha radici qui e può avendo il paese sempre davanti allenarsi a osservare e riconoscerne i lineamenti, chi è nato qui non ha bisogno di guardarlo, lo conosce a memoria, potrebbe disegnarlo con un bastoncino sulla polvere delle antiche mulattiere. Altro giro di vinello, altro spuntino,il racconto continua.Ci rivedremo tar un anno. Cerco personaggi per i dieci partecipanti al laboratorio di Officina Letteraria che stanno per arrivare. Mi siedo vicino al vecchio signore, quasi novanta, sul sedile di pietra della piazza faccio un viaggio nel tempo e nello spazio, quando ad Apricale ci si spostava solo a piedi per andare a lavorare una settimana a Nizza, ci si metteva un giorno, invece quelli di Perinaldo andavano a Marsiglia e ce ne mettevano anche due o tre. Nelle chiese si pregava per propiziare la pioggia, ascolto la storia del nonno garibaldino che non sapeva leggere però era informato perchè sulla piazza il maestro leggeva Il Caffaro ad alta voce. Ascolto la storia di una gioventù che lavorava, che andava a spaccare legna, dopo aver lavorato gli orti, per le sigarette e ogni tanto la casa di tolleranza. Ride, il vecchio signore, ha un cappellino di paglia alla francese, con la mezza visiera, si appoggia al bastone con le due mani e si piega in vanti per ridere pensando a quando comprava una scatola di fiammiferi al giorno per vedere la ragazza che gli piaceva che lavorava nella tabaccheria. Sospira ricordando una fidanzata del tempo di guerra, scuote la testa pensando a quello che non riesce a capire del tempo presente. Guardi, dice, da quando i preti vestono da uomini, hanno cambiato l'ora e hanno tolto le case di tolleranza, non si capisce più niente. Vorrei replicare poi guardo il suo viso segnato dal tempo e lascio perdere però gli dico non è tutto così brutto il tempo d'oggi. Ha ragione, dice, infatti io amo ancora la vita e voglio godermela fino all'ultimo.



mercoledì 22 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 21

Ventuno agosto. Per ragioni che non sto a spiegare, quest'anno il riposo è forzato, non soltanto cercato e scelto come in altre occasioni. E' stata necessaria una scelta drastica: niente auto, niente giri fuori dal paese, niente corse al mare. Una scoperta. Intanto, il silenzio, il tempo per noi stessi e per gli altri, il tempo per la lettura e la scrittura. Mi muovo in un raggio limitato, quindi mi addentro, vado in profondità, miglioro la mia capacità di osservazione. Scendo la via San Bartolomeo, guardo un portone con il battachio a manina, guardo un portone con una vetrata policroma, guardo la porta di una cantina con una breccia per lasciar passare una gatta nera e grigia, guardo in alto una decorazione natalizia dimenticata, penso a Perec e al suo Tentativo di esaurire un luogo parigino. Salgo la via San Bartolomeo e guardo le finestre, una ha una pianta finta di petunie, un'altra ha una zanzariera bianca, una lascia vedere un soffitto affrescato azzurro. Scendo e salgo più vokte al giorno. Penso sempre a Perec. Sarà una fissazione. Ci sono stata davvero una volta nella Place St. Sulpice e ho riconosciuto tutto quello che c'è nel libro. Il libro di Perec che preferisco però è un altro, si intitola Specie di spazi, alla fine Perec dice che non ce la fa a pensare alla campagna perchè in fondo è un'utopia, un'idea, per lui non esiste, il suo habitat è la città. Anch'io la penso così e allora  utilizzando un altro titolo di un famoso libro ( Chatwin) dovrei chiedermi Che ci faccio qui?. Ma, in fondo, Apricale non è proprio campagna, è una minuscola città medievale, lo scenario giusto per un racconto di Calvino. Allora lo so che ci faccio qui. Immagino. Scendo la via San Bartolomeo e immagino, nel mio forzato riposo, un personaggio al confino in un  borgo medievale. Salgo la via San Bartolomeo e immagino una donna amica di un famoso pittore francese. Lo spazio si dilata, ben oltre Apricale.

martedì 21 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 20

Venti agosto. Ho incominciato a leggere un saggio di Duccio Demetrio sul silenzio e la scrittura. Il silenzio è un compagno esigente, talvolta scomodo, per alcuni irritante, per altri necessario.
L'autore ci invita a interrogarci sul nostro rapporto col silenzio, a ricercare nella memoria situazioni e momenti di silenzio e le mostre sensazioni, i nostri sentimenti in quelle situazioni.
Rompete il silenzio ascoltando musica? Io sì, talvolta.
Il silenzio nella mia storia. Mi viene in mente il silenzio di mia madre, in attesa di qualcosa, un silenzio abitato da una preoccupazione che non capivo ma che percepivo come un oggetto ingombrante in una stanza buia. Mi viene in mente il silenzio tra le montagne tante volte, al mattino presto, il silenzio di mio nonno che da un certo punto della sua vecchiaia non ha più parlato, il silenzio nel quale ascoltavo il sonno del mio bambino appena nato, il silenzio che costruivo, un silenzio avvolgente e morbido per accogliere i racconti dei miei bambini arrivati da un altro mondo, il silenzio della fine di un amore, di più di un amore, quando ormai non c'è più nulla da aggiungere nè da togliere, il silenzio di molte notti, in posti diversi, in tempi diversi, il silenzio di cui ho bisogno quando scrivo,il silenzio dell'aula del liceo quando il professore di greco guardava il registro, silenzi pesanti alle manifestazioni, silenzi grevi ai funerali, il silenzio condiviso e il silenzio che divide, silenzi di disapprovazione, di disappunto, di rabbia, di commozione, silenzi disperati, silenzi necessari per godere di una profondità.
Un elenco infinito che si aggiunge ad altri possibili elenchi infiniti, quelli degli altri, i vostri, provate a pensarci.
Quest'afa di agosto opprime ma regala silenzi di angoli in ombra, di pomeriggi a persiane socchiuse, di
notti insonni a guardare le stelle o a leggere un libro sul silenzio.

lunedì 20 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 19

Diciannove agosto. Ad Apricale c'è l'Atelier con gli artisti, c'è una bella vetreria d'arte, per dieci giorni l'anno, in agosto, da più di vent'anni c'è il Teatro della Tosse. Non c'è altro, non ci sono i negozietti di bigiotteria artigiana, di ceramica, non c'è un negozio di abbigliamento, ci sono due Commestibili , non c'è un ferramenta, c'è la farmacia, non c'è una merceria, c'è un tabacchino con la rivendita di giornali dove puoi trovare anche un libro, un paio di calze, un souvenir, c'è un falegname che fabbrica allegre cassette della posta decorate da sua moglie Annalisa. Ad Apricale è d'obbligo l'auto o la moto, dicono,  se  serve qualcosa, se c'è un'emergenza, se si vuole andare un po' in giro l'auto serve.
Noi quest'anno siamo venuti senza auto, ci ha accompagnato un amico e al ritorno prenderemo la corriera e poi il treno. Viviamo liberi da esigenze, compriamo il giornale, compriamo da mangiare lo stretto indispensabile, abbiamo un po' di libri, un e-reader, un portatile e tanta buona musica. Niente televisione, ascoltiamo la radio. Nel paese vicino, se ne abbiamo voglia, andiamo con la corriera. Però la piazza di Apricale ci soddisfa e ci basta.
Gemma mi racconta che nel 1966 aveva sedici anni e lavorava in un laboratorio di maglieria a Camporosso, più di dieci ore al giorno, pagata un tanto al pezzo. Il laboratorio produceva venticinque pezzi al giorno. Una pausa per mangiare un pentolino di minestra della sera prima portato da casa, Andava e tornava con la corriera. Era la più brava, dice una sua amica che allora aveva quattordici anni,  le trecce, le greche, tutti i motivi più difficili li facevano fare a lei. Sì però, dice Gemma, non sono mai riuscita ad arrivare a guadagnare trentamila lire al mese come avrei voluto.
La piazza di Apricale mi soddisfa e mi basta.

domenica 19 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 18

Diciotto agosto. Incomincio la giornata leggendo della condanna delle Pussy Riot, osservo le loro belle facce nella fotografia a colori, la maglietta azzurra con la scritta No PASARAN della più giovane mi intenerisce. Le Pussy Riot hanno l'età dei miei figli, i genitori di una di loro avevano comprato un mazzo di fiori pensando di festeggiare una sentenza favorevole, il padre di un'altra non si dà per vinto, paga gli avvocati, vuole andare avanti, vuol tirar fuori la sua ragazza da quell'inferno, il marito della più giovane deve pensare al loro bambino di quattro anni ma pensa anche alla rivoluzione, dobbiamo farla per cambiare questo paese, non c'è scelta, dice correndo il rischio di esser subito incriminato per dissidenza, chi si occuperebbe del bambino?
Le Pussy Riot hanno l'aria d'esser delle rivoluzionarie per caso, qualcuno lo sostiene in un'analisi, però hanno il contegno di chi, investito dal caso e dal destino, sa reggerne l'urto.
Nella fotografia su Repubblica si vedono ingigantite in primissimo piano le mani di una poliziotta, tenute l'una nell'altra dietro la schiena, posizione di riposo, noto le unghie smaltate di rosso. Riguardo la maglietta della più giovane con la scritta gialla NO PASARAN, chissà se in carcere, ora che è stata condannata, gliela lasceranno o gliela strapperanno con le unghie. Maglietta dissidente.
La mostra nel Castello è il risultato del lavoro della piccola comunità dell'Atelier, non c'è molta gente, gran parte dei turisti e anche dei paesani è già appostata per il fuochi d'artificio di Dolceacqua. C'è tempo, la mostra durerà, subirà delle modificazioni, si aggiungeranno artisti. Non abbiamo fretta.
Alla ragazza che accarezza i muri potrei cambiare nome, potrebbe diventare la ragazza che parla ai muri. Ha raccontato che alla scuola elementare finiva sempre in un banco faccia la muro perché chiacchierava troppo e osservava il muro, le crepe sottili dell'intonaco, le scrostature, le grossolane stuccature sottostanti, tipiche dei muri delle scuole, alla fine ha sviluppato una relazione con i muri che, nel lavoro artistico, è riaffiorata.
Anche il suo compagno è un artista, è un uomo scanner, scannerizza tutto, i polpi, le cicale, le piante, gli ortaggi, i granchi, l'ape. Non gli bastano gli scanner in commercio quindi ne costruisce di nuovi, più grandi, adatti alla sua pratica.
Lei ha esposto i suoi quadri/muro, lui un calamaro gigante.
MURO e CALAMARO. Gianni Rodari ne avrebbe fatto un binomio fantastico. Il calamaro sul muro. Il calamaro nel muro. Il calamaro sotto il muro. Il calamaro dietro il muro. Il muro del calamaro. E così via, tutte storie possibili.
Bisognerebbe scrivere storie per due anni, settecentotrenta binomi fantastici per il bambino della più giovane Pussy Riot.


sabato 18 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 17

Diciassette agosto. La piazza di Apricale è una terrazza affacciata sul verde, una postazione per osservare il crinale su cui è posato il paese di Perinaldo. Sedendosi sul sedile di pietra formato dal muretto che segna parte del perimetro della piazza, il punto di vista cambia e si rivolge alla gente, agli incontri, ai passaggi. Sedendosi invece ai lati della porta dell'Oratorio di San Bartolomeo, appena sopra la piazza, all'inizio della via San Bartolomeo, si gode di una visuale simile a quella che si ha dal loggione di un teatro. Altrimenti si può salire fino alla parrocchiale, anche lì, sul sagrato, si trova un sedile di pietra e si guarda dall'alto oppure, affrontando un altro pezzo di salita, si può entrare nel giardino del Castello della Lucertola e da lassù guardare la piazza come se la si sorvolasse, mi piace pensare, con una mongolfiera.
Aiuto la ragazza burattinaia ad allestire una mostra nel salone di pietra del castello, l'afa del pomeriggio ci opprime, apriamo le finestre su voli di rondini, sono vicine, forse hanno i nidi tra le pietre antiche del castello.
Un tempo io e la ragazza burattinaia eravamo insegnante e allieva, quando io ero giovane e, pur nel mio ruolo di docente, ero anch'io una ragazza dell'Accademia. Ora siamo due donne, di età diversa, che in un pomeriggio di estate si raccontano pezzi di vita. Mio marito dice, ragionando sulla differenza di età che con il tempo viene percepita diversamente: " Con il tempo la differenza resta costante ma il rapporto tende a uno". Riflessioni di un matematico in un pomeriggio di agosto, un bel titolo per un racconto.
La casa della ragazza burattinaia è sempre piena di gente e di bambini, incontro altre ragazze che hanno studiato all'accademia, scenografe, decoratrici, costumiste. Ora che la ragazza burattinaia vive qui, ogni tanto imboccano la strada a tornanti e poi camminano a piedi, con i bambini sulle spalle per stare insieme qualche giorno, per andare al fiume e camminare lente, vivere lente.
Lentezza, mi viene in mente un bel libro di Kundera. Non tutti amano Kundera, alcuni lo hanno letto, amato e poi abbandonato, io continuo a pensarlo come un autore straordinario. Forse perchè mi piace Bacon, c'è un'affinità tra Bacon e Kundera, hanno in comune una specie di estetica del dolore. Infatti, conservo un articolo che Kundera ha scritto su Bacon, tutti gli anni lo leggo agli studenti nuovi che ne sono sempre molto colpiti.
Una sera senza scendere in piazza, spalanchiamo tutte le finestre e anche la porta, l'aria è ferma, un uccello manda dal buio un verso ripetitivo. Ascoltiamo musica classica. Forse siamo incapaci di reggere a lungo il silenzio rotto solo dal verso inquietante di un uccello?

venerdì 17 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 16

Sedici agosto. Il sedici agosto penso sempre a mia nonna. Il sedici agosto era il suo compleanno, la sua seconda festa di compleanno, infatti era nata un giorno di luglio ma era stata registrata quasi un mese dopo e sulla carta d'identità risultava la data della registrazione sedici agosto millenovecento. Fin da ragazza festeggiava le due date, naturalmente si aspettava due regali.
Le ragazze dell'Accademia hanno avuto una giornata movimentata, c'era da allestire la mostra e da preparare tutto perchè la ragazza scultore parte, ritorna al mare da dove è venuta, dove c'è un campo con alberi da frutto, lo spazio per scolpire e una roulotte che, nel tempo, è diventata una casa, un rifugio per pensare e sognare. Parte con il marito che porta via la sua cartella di raffinati disegni, lasciandone qualcuno nel paese come pegno d'amicizia, porta via un quadernetto di appunti e schizzi, un prezioso libretto d'interpretazione del mondo. Parte con la sua bambina bionda, che cresce libera di testa e di cuore, tra materiali che prendono forma e strane creature che escono magicamente dalla punta di una penna, che vive l'alchimia dell'arte, la sapienza di una vita essenziale, il nomadismo necessario per apprendere. Parte e il paese saluta e si commuove.
La ragazza burattinaia vive la prima febbre del suo bambino e si chiude in casa per curarlo, mette in scena tutte le sue arti per farlo sorridere, aspetta con pazienza. La febbre passerà e il bimbo sarà più alto, dicono le donne anziane.
Chi parte e chi arriva, l'atelier accoglie due nuovi artisti, di nuovo una coppia perchè l'arte è una passione che a volte si somma ad altra passione. Un'altra ragazza dell'Accademia, più giovane, una ragazza piccola e minuta, una ragazza che accarezza i muri, li guarda, allunga la mano, ne sente le crepe, la materia, le rughe, l'età e la sofferenza. Poi fa un quadro che è la sintesi, il ritratto dell' energia che ha sentito accarezzando il muro. Una ragazza che, la sera, canta il blues.

giovedì 16 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 15

Quindici agosto. Sera di Ferragosto, ultima rappresentazione della Tosse, il Gran Bazar andrà via, gli abitanti del paese riprenderanno la loro piazza, cominceranno a commentare il numero di visitatori, il numero di auto arrivate, il numero di panini venduti, l' attore più bravo, la scenografia che è meglio di tutte le altre ma, forse, quella di dieci anni fa era meglio. Il teatro viene da ventitré anni, ormai fa parte della storia del paese. Appena sarà partito il paese dirà bello, ma che fatica, bravi, meritano il successo, bello ma all'inizio era meglio, bello, quest'anno è stato lo spettacolo migliore di tutti. Si comincia subito ad aspettarlo.
Ferragosto, caldo pomeridiano. Una delle ragazze dell'Accademia, la ragazza scultore,  è quasi in partenza, gira per il paese a depositare i suoi ultimi segni, lascia tracce, annoda fili per quando tornerà. Pochi tagli su pietre di fiume per evocare un tempo arcaico, un mosaico di ceramica che, d'improvviso, svela il cuore di una casa, talismani con occhi aperti e facce di luna in regalo alle donne incontrate, porte aperte, un abito da sera anni Settanta, ereditato dalla madre, e una bottiglia per raccontare ancora qualche storia, e occhi lucidi per la storia, se dentro c'è la vita, e per i saluti imminenti.
La ragazza scultore ride pensando di aver abitato con un fantasma, la casa è grande, ha cambiato stanza e ha lasciato il fantasma tranquillo dove voleva stare, c'è posto per tutti, non si può pensare di evocare un tempo arcaico su una pietra di fiume senza credere agli spiriti che si aggirano fra di noi.

mercoledì 15 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 14

Quattordici agosto. Sono in ritardo! Sono in ritardo! Diceva correndo affannato il coniglio bianco di Alice nel paese delle meraviglie. Puntigliosamente mi sono prefissa un post al giorno per questo mese d'agosto, a volte scrivo già dopo la mezzanotte, a volte in ritardo di un giorno, a volte un post che vale per due giorni come i numeri doppi estivi dei periodici, forse non si pubblicano più i numeri che valgono due mesi o tre, non lo so, non ci faccio più caso. Più di vent'anni fa anch'io avevo messo su un periodico, un giornale di informazione e critica d'arte, un'avventura bellissima, di estate facevo un numero unico, era un modo per risparmiare, visto che i collaboratori andavano in vacanza e il giornale si vendeva meglio d'inverno con le gallerie d'arte aperte, la stagione dei teatri e dei cineclub.
Correre affannati per le vie di Apricale non si può, ci vuole il passo lento da alpinista, e poi perchè correre? In piazza prima o poi ci si incontra tutti, io sono qui per riposarmi e scrivere. Andamento lento.
Quattordici agosto: ho visto lo spettacolo della Tosse. Mille persone divise in gruppi da cento che si fermano ad ascoltare Sherazade, il Burattinaio, il Poeta, il Fachiro e tanti altri personaggi del Bazar, che si lasciano incantare dai racconti del Gran Visir. Il paese diventa lo spazio della fantasia, diventa il paese delle meraviglie.
Il personaggio del poeta siriano nella cisterna del Castello, nell'interpretazione forte di Aldo Ottobrino mi ha commosso. Per varie ragioni, anche perchè troppo a lungo abbiamo pensato alla Siria come un luogo molto lontano.

lunedì 13 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 12 & 13

Dodici e tredici agosto. Vediamo quando riuscirò a recuperare questo ritardo. Ieri due amici di Glasgow mostrandomi le fotografie di un loro lungo viaggio in Etiopia mi hanno raccontato che c'è un solo treno che collega Addis Abeba e Gibuti, costruito dagli italiani al tempo della colonizzazione, e che funziona malissimo. Ridevano, humour scozzese.
Da ieri nuova location: Apricale, abbarbicato su una collina nella Val Nervia, non si vede il mare ma se ne sente l'aria che si infiltra tra gli olivi, dentro il paese si scende o si sale, ci si ferma in piazza dove si vive la gran parte della giornata, ci si incontra, si chiacchiera, dove i bambini giocano e la sera c'è il Teatro della Tosse. Da quest'anno c'è anche l'Atelier A, una residenza per artisti dove si avvicendano disegnatori, scultori, fotografi, ceramisti. Tanti di loro sono stati miei allievi. Ieri nel vicolo, davanti alla porta dell'Atelier c'erano tre donne con i loro bambini, tre artiste con le loro opere d'arte. Lo dico al di fuori della retorica e se vi sembra retorico pazienza, per questa volta mi scuserete. Mi facevano tenerezza ed ero anche un po' orgogliosa, anche se non ho nessun merito, ho insegnato loro un po' di Storia dell'Arte, a suo tempo, e spero  con la storia dell' arte di aver trasmesso anche qualche idea però, avvertendo i miei sentimenti, mi è venuta in mente una frase che ripete spesso mio marito, insegnante anche lui, quando incontriamo ex allievi con i loro figli piccoli: " Quando gli studenti si riproducono i professori diventano un po' nonni".
Mi ha scritto un'amica che mi ha raccontato un sogno in cui c'ero io che ero appena tornata da un paese africano e volevo tornarci presto. Un bel sogno. Circa un anno fa ero in Etiopia, ieri ho parlato dell'Etiopia con i miei vicini scozzesi, penso spesso all'Etiopia, vorrei tornarci presto ma questa mia amica non lo sapeva, non mi conosce così bene perciò il sogno mi è piaciuto molto.
Apricale è un paese di pietra, è un paese che pretende lentezza e pazienza, che offre silenzio.



sabato 11 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 10 &11

Dieci e undici agosto. Ormai accumulo ritardo, questo diario sta diventando come un treno italiano.
Ieri di notevole c'è stato il compleanno di mia figlia, la più piccola. Diciotto, è maggiorenne anche lei.
Festa in casa con band del suo fidanzato. Sveglia alle sei per cucinare e allestire. Mi sono alzata, mi sono mossa in silenzio, il cane e il gatto che di solito vengono a svegliarmi, mi sono venuti incontro con lo stupore sui musi, ma lo sai che ore sono? sembrava proprio me lo chiedessero. Il cane, quando ha capito che mi stavo preparando il caffè e la giornata stava cominciando non si è più interrogato sulla straordinarietà dell'orario e ha cominciato la solita danza del cibo. Erano le sei? Tanto meglio, avrebbe mangiato prima. Invece il gatto ha fatto una smorfia davanti alla sua scodella piena a quell'ora insolita, è uscito ed è tornato alle sette per mangiare.
La sera davanti alla tavola imbandita con i piatti che avevo cucinato, ne consideravo il carattere multiculturale: sangria spagnola, riso ebraico, hummus palestinese, insalata greca, pizza italiana. Tutti paesi con una crisi, più o meno grande.
Una torta soffice, semplice e tradizionale, di una pasticceria genovese, la preferita della festeggiata.
Il numero diciotto ricamato con il cioccolato su una superficie di pasta di mandorle.
Ora che avete tutti 18 anni, ho detto stamattina, posso fare quello che voglio.
Un'amica più anziana di me, madre di tre figli ormai molto grandi, una volta mi ha detto: quando ho realizzato che i miei figli se la sarebbero comunque cavata senza di me, mi sono sentita libera e più forte.
Di notevole ieri c'era il sorriso felice di mia figlia, che a un certo punto della giornata è sparita ed è ricomparsa con un mazzo di fiori per ringraziarmi della festa che le stavo preparando.
Di notevole oggi ci sono le riflessioni sul mio futuro di madre di figli maggiorenni.

giovedì 9 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 9

Nove agosto.  La mezzanotte è passata da un pezzo, siamo già al dieci. Una giornata di preparativi per il compleanno di mia figlia. Diciotto anni.
I miei diciotto, li festeggiai con un abito lungo e balli lenti, senza torta di compleanno, con l'originalità di tante coppette di gelato alla frutta disposte a formare una torta. Una candelina simbolica sulla sommità di un gelato ai mirtilli.
Ci avevo pensato a lungo: festeggio? non festeggio? Ci ho pensato per mesi poi, quell'anno, mi sono fidanzata a gennaio e ad aprile ero ancora felice così decisi: festa!
Però le candeline no, quel rito sempre uguale e le canzoncine stonate, mi immalinconivano.
Del resto il giorno del compleanno ho la tendenza a non trascurare una vena di tristezza che corre sottopelle  già qualche giorno prima e poi affiora, anche negli anni più fortunati e sereni.
Qualcuno mi ha detto che accade a chi è nato con un parto difficile. Sarà..., in effetti è così, parto difficile, anzi difficilissimo, divenuto leggendario nelle memorie familiari.
Da adulta ho cominciato a concedermi o ad accettare le candeline, feste di solito non ne faccio, preferisco una cena in famiglia, preferibilmente che non sia io a preparare.


mercoledì 8 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 8

Otto agosto. Afa e sete. Sciroppo di rose. Si fa qui, a Genova e anche in Bulgaria.
Lo faceva mia nonna, lo fa ancora qualche volta mia madre, devo assolutamente farlo anch'io perchè non si perda la tradizione.
D'inverno, viene distribuito ai calciatori nell'intervallo, caldo, corroborante. D'estate si serve con acqua fredda e un cubetto di ghiaccio. Già il colore rinfresca e tonifica, rubino, più chiaro e trasparente del rosso dello sciroppo d'amarena.
Ora lo si trova anche prodotto industrialmente ma è quello artigianale che bisogna cercare. Imparagonabili.
Mia nonna non apprezzava i fiori recisi, soldi buttati diceva. Quando l'ultima figlia rimasta in casa con lei si fidanzò con un giovanotto gentile e comandante di superpetroliere, lei invitò il futuro genero a cena. Lui si fece precedere da un suntuoso mazzo di rose. Al suo arrivo non vide i fiori in nessun angolo della casa e pensò che il fiorista non avesse reso il servizio richiesto, del resto mia nonna non lo aveva ringraziato. Un po' a disagio, il giorno dopo domandò a mia zia se il mazzo di fiori fosse arrivato altrimenti avrebbe protestato col fiorista. Più a disagio di lui mia zia rivelò che la nonna aveva trasformato le rose in sciroppo. Subito, appena arrivate perché erano al punto giusto. Anche lui entro breve tempo avrebbe avuto la sua bottiglietta. Il grazie di mia nonna.

martedì 7 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 7

Sette agosto. Alle nove del mattino salivo stancamente le scale dell'Accademia di Belle Arti. Quinto piano. Ormai da parecchi anni c'è l'ascensore, non sempre mi piace prenderlo, è un ascensore tutto chiuso, lento e - dato inquietante - si ferma sovente al quarto piano senza che nessuno l'abbia chiamato, almeno questo è quel che sembra infatti le porte si aprono sul nulla. Al quarto piano non ci sono uffici o aule, un ballatoio e la porta di una toilette.
Stamattina sono andata a piedi, ero in anticipo e non avevo fretta di arrivare a un'altra assemblea senza novità confortanti.
Di settimana in settimana siamo sempre meno, qualcuno riesce a andare in ferie, qualcuno si stanca di venire. Anche noi abbiamo la nostra crisi, condividiamo con altri pezzi di città una situazione difficile.
Lo schema è sempre lo stesso: aggiornamento, proposte, discussione. Chi sa d'essere incline all'intervento appassionato si organizza con una bottiglietta d'acqua, i più nervosi si alzano di continuo per andare a fumare. Il caffè è sconsigliato. Finestre aperte per creare corrente, uomini in sandali francescani, di cuoio, donne con i ventagli. Le assemblee d'agosto sono faticose.
Vorrei proporre uno sciopero della fame, mi censuro, troppo estremo e anche fuori moda.
Vorrei proporre una performance collettiva, mi censuro, inutile per mancanza di pubblico, è agosto e anche troppo caldo per mettere in gioco corpo e mente con certezza di risultato.
Vorrei proporre una manifestazione dura e partecipata, mi censuro quando, guardandomi intorno, mi rendo conto che non siamo abbastanza.
Propongo un documento, soluzione tradizionale e scontata, proposta accolta ma lo faremo la prossima volta, prima aspettiamo che succeda una certa cosa, poi che arrivi una certa informazione. Giusto.
Rimaniamo a lungo in silenzio intorno al grande tavolo.
" Allora, cosa prepariamo?" chiede una collega.
" Du spaghetti?" rispondo senza riuscire a censurarmi in tempo.
Ridiamo, meno male che ridere non costa e possiamo ridere anche senza stipendio, anche se non c'è proprio niente da ridere.
Mi viene in mente un'estate più di vent'anni fa, due bidelli avevano cucinato su un fornelletto da campeggio e avevamo allestito una tavolata nel corridoio. Un pranzo tutti insieme, prima delle ferie, un pranzo dopo un anno difficile di proteste e occupazione. Il tavolo apparecchiato nel corridoio senza studenti offriva un'immagine surreale, una possibilità altra per quello spazio.
Un professore aveva scattato delle fotografie. Ogni tanto mi capitano tra le mani, mi fanno allegria. Eravamo tutti giovani e perfino belli.


lunedì 6 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 6

Sei agosto. Scrivo che è già il sette agosto. Cena da amici in una casa con muri colorati, sedie colorate, piatti colorati. Il colore ci aiuta.
Una volta un produttore di tinte per interni mi ha detto che nei periodi di crisi si vendono più tinte da muri, la gente, diceva, non va in vacanza ma ridipinge le pareti della casa, non può cambiare casa e rinnova quella che ha.
Anch'io ho una casa colorata, ogni stanza un colore, da quasi dieci anni e non mi sono ancora stancata, nessun rimpianto per il bianco. Ho avuto anch'io il mio momento di bianco assoluto ma nel colore sto meglio. L'ho scoperto nel tempo e la maturità. A trent'anni avevo case bianche e vestivo di nero minimalista, a quaranta ho cominciato a combinare il viola con i verdi, i rosa, perfino alcune tonalità di azzurro.
A oltre cinquanta mi riconcilio col rosso. Forse sento di saperne reggere la forza.
Mi vengono in mente gli abiti rossi di Marina Abramovic. E' la parola forza che mi ha fatto pensare a lei.
Nelle cene estive con gli amici si parla sempre anche di crisi, in un libro di Paolo Nori, La matematica è scolpita nel granito, leggevo ieri che in cinese la parola crisi e la parola opportunità si scrivono nello stesso modo. Nori scrive anche che è una cosa risaputa, io però non l'ho sapevo così ho sottolineato la frase.
Crisi e opportunità. Un po' di tempo fa una persona che conosco dopo una grave malattia ha cambiato tutto della sua vita e mi ha detto la malattia per me è stata un'opportunità.
Quali opportunità ci offre la crisi che stiamo vivendo?
Tinteggiare una stanza di un colore acceso.
Tingere un abito bianco in casa, con le tinte che si usano in lavatrice. Tingerlo di rosso.
Per ricominciare.



domenica 5 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 5

Cinque agosto. Passeggiata romantica con mio marito, al supermercato. Avete letto bene e non ironizzo. Il nostro amore, dice lui, è nato al supermercato. Non è proprio così, il nostro amore è nato mentre crollavano le torri gemelle ma, questa cosa, la racconterò un'altra volta. Il supermercato però è stata una cornice abituale i primi tempi della nostra storia, io avevo tre figli tra i sette e i diciotto anni, lavoravo, correvo sempre e rallentavo il passo solo mentre facevo la spesa, almeno quel tanto per pensare a cosa cucinare e rendermi conto di cosa stessi comprando.
Capitava che lui mi accompagnasse almeno per vedermi, parlarmi perché, i primi tempi, ero anche in libertà vigilata, i miei figli ci tenevano che non facessi brutti incontri.
Il venerdì non avevo lezione, salivo su un bus e raggiungevo il paesino della riviera dove abitava, bagaglio leggero, niente sacchetti della spesa, ero invitata, non mi capitava spesso in quel periodo ma, dopo aver incontrato lui, ecco che capitava tutti i venerdì. Sotto casa sua sentivo già il profumo di cibo, riso indonesiano, pesce, un dolce con l'uvetta, vino fresco e leggero, tutto accompagnato da musica jazz.
Non ci ho pensato su molto. Ho chiesto la sua mano.

sabato 4 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 4

Quattro agosto. Sto aspettando che in giardino spuntino le belle di notte. La mia amica Anna mi ha regalato dei semi, li ho messi un po' dappertutto e ho subito dimenticato dove. Di foglioline ne spuntano ogni giorno, quali saranno quelle delle belle di notte? Sono una giardiniera approssimativa,  qualche anno fa mi sono entusiasmata alla lettura dei testi di Clement, Il giardino in movimento e Il manifesto del terzo paesaggio. Clement invita a valorizzare gli spazi di autonomia della natura, a osservare e imparare ad assecondare e guidare la forma che il giardino tende spontaneamente ad assumere. Io osservo e vigilo, prima o poi le belle di notte nasceranno.
Di notevole oggi c'è che io e il gatto siamo stati in giardino, su due sdraio vicine, io leggevo Oliver Twist e lui sonnecchiava, in casa chi guardava le Olimpiadi chi ascoltava musica. Tempi lenti, ritmi annoiati di quella noia utile, che sa di vacanza.
Una delle ragazze è tornata dalla Provenza e, a pranzo, raccontava con la erre arrotata delle lezioni di francese e del lavoro in un albergo, delle nuove conoscenze, di un giro in bicicletta. L'altra era contenta del primo giro in moto col suo ragazzo, ci descriveva la moto e io pensavo che devo aggiungere una voce alla lista delle ansie. Stasera mi farò una tisana, sul pacchetto c'è scritto PER L'ANSIA, l'ho comprata apposta.
Estate: prove di nido vuoto. Quando l'ho scritto nel libro, ancora non era accaduto, mi sembrava di averlo inventato ma, forse, raccontavo un presagio, il futuro o qualcosa di già vissuto. In fondo è anche così che nascono le storie.
Le ragazze giamaicane dei cento metri hanno sguardi dolci, sorrisi allegri e muscoli d'acciaio. La vincitrice non si è accorta subito di aver vinto, l'ha letto sul tabellone e si è buttata a terra tra il riso e il pianto. In fondo è di riso e pianto insieme che son fatte le emozioni.
Secondo me le belle di notte aspettano la notte per nascere. Domattina vado a vedere. Alle sei, perchè il caldo d'agosto mi sveglia a quell'ora, anche il cane e il gatto l'hanno capito. Alle sei meno cinque il gatto stamattina mi ha dato un buffetto sulla guancia. Patè con gamberetti.

venerdì 3 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 3

Tre agosto. All'assemblea non c'era di che ballare, pensare che l'abbiamo fatta in un'aula con un grande tavolo proprio adatto, mi fa venire in mente uno spettacolo che ho visto con Luciana Savignano, lei ballava il Bolero su un tavolo così.
Di notevole c'è che, grazie al caldo e a un leggero stato d'ansia per motivi che non sto a raccontare, mi sveglio presto e faccio tutte quelle cose che sono sempre costretta a fare di corsa. A svegliarsi tra le sei e le sette ci si guadagna che se, come me, si è scelto di far funzionare gli elettrodomestici prima delle otto del mattino e dopo le otto di sera per avere una bolletta meno pesante, si riesce a fare anche due lavatrici, col programma a trenta gradi. Io la lavatrice ce l'ho in un bagno vicino alla camera da letto, d'inverno mi ricordo di metterla in funzione a volte a mezzanotte prima di andare a dormire. Ora mi alzo alle sei e ci penso al mattino, non essere svegliati dalla centrifuga è un bel passo avanti.
Mi piacerebbe andare in ferie anche dai lavori casalinghi ma non è così semplice, anche se in casa mi aiutano, con metodo a macchia di leopardo però mi aiutano.
Di notevole c'è anche che bevo il primo caffè in giardino e questo sa di vacanza.
Stamattina ho anche spazzolato il cane e lui aveva uno sguardo incredulo nel percepire la mia tranquillità, quando ha capito che mi sarei mossa lenta e ci avrei messo tutto il tempo che ci vuole si è buttato per terra a peso morto su un fianco e si è rilassato. 
Sul giornale ho visto la foto delle ragazze del fioretto, oro a Londra, mi hanno fatto venire in mente un corso di scherma che ho fatto in prima media, mi divertivo ma secondo me ero negata, volevo fare scherma perchè mio padre l'aveva fatta, una volta mi aveva anche portato a conoscere Mangiarotti. 
Tre agosto, di notevole non c'è altro. In giardino non muove foglia, si annuncia l'afa di domani.

giovedì 2 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO

uno e due agosto


Uno e due perchè ieri non mi ero accorta che fosse il primo agosto, così è come se agosto fosse cominciato oggi.
Di notevole c'è che ho quasi deciso di considerarmi in ferie. Quindi, per solennizzare la decisione, oggi ho fatto giardinaggio e ho dichiarato guerra alla mosca bianca che quest'anno prosciuga le mie piante.
Viva la chimica ! Dopo aver provato i getti d'acqua, il sapone di marsiglia, la spazzolatura delle foglie, mi sono arresa e ho comprato un prodotto chimico che si sta dimostrando parzialmente efficace. Meglio di niente.
Poi ci sono le zanzare. La sera il mio giardino sembra un camposanto per il numero di candele citronelle accese, ho comprato anche una rigogliosa pianta di erba luisa, che sembra tenga lontane le zanzare, i gerani antizanzare e...un prodotto chimico. Efficace, al di sopra delle mie aspettative.
Mi dispiace, la mia attenzione per l'ambiente in questo caso presenta una vistosa falla, ho la compostiera, faccio la differenziata, uso detersivi biologici, faccio parte di un gruppo di acquisto, ho perfino comprato la biancheria di cotone rigenerato però mi rifiuto di essere ostaggio delle zanzare. I miei nipoti, quelli a cui lascerò un mondo migliore grazie al mio attuale stile di vita, penso mi perdoneranno.
Di notevole c'è anche che sono andata all'ufficio dell'Enel e ho fatto meno di cinque minuti di coda. Eravamo in tre ma non abbiamo fatto in tempo a conoscerci come di solito accade in queste situazioni. Mi ero portata da leggere e non ho potuto nemmeno cominciare, però ero contenta lo stesso perchè mi ero portata l'e-reader e non mi pesava nella borsa così non ho pensato " mi sono pure trascinata questo libro e non l'ho aperto". Uno dei vantaggi del digitale.
Di notevole c'è che in via Garibaldi un uomo anziano suonava il sax e io avevo voglia di mettermi a ballare.  Ma la vita non è un musical, domani andrò all'assemblea dei lavoratori dell'Accademia, se ci diranno che ci pagano finalmente lo stipendio di giugno mi metterò a ballare all'assemblea.

giovedì 14 giugno 2012

VINI FRUTTATI

La scuola è finita. Incomincia l'estate. Per me funziona così da sempre, sono stata allieva e poi insegnante, per me l'anno non è solare ma accademico, non ho mai smesso di avere un diario, piuttosto che un'agenda, da settembre a giugno. Pochi giorni fa ho visto un avviso in cartoleria " sono arrivate le agende accademiche".
Terminano le lezioni, non il lavoro, sessioni di esami, collegi dei docenti, programmazione. L'estate è scandita dalla preparazione dei corsi per il prossimo anno accademico, ricerche di testi e di immagini, appunti, riflessioni. Studiare sapendo di farlo anche per gli altri è un privilegio.
Che anno è stato? Mi piace pensarci, fare un bilancio, chiedermi se è passato quello che ho voluto trasmettere, interrogarmi sulla qualità del mio contributo didattico. Mi piace anche pensare a chi ho avuto davanti, ai giovani, e meno giovani, che ho incontrato. Gli studenti sono come il vino, vanno ad annate. Queste ultime sono annate di vini leggeri, a bassa gradazione, leggermente fruttati.
Studenti in generale educati e tranquilli, seri, non sempre curiosi quanto dovrebbero, non sognatori quanto potrebbero e sarebbe giusto ( ma questo non per loro responsabilità) però creativi, ironici e spesso con qualche inaspettata passione o competenza.
Perciò anche da annate leggere imparo sempre anch'io. Quest'anno incomincio l'estate sapendo qualcosa di più sui serpenti e i ratti d'allevamento, sui giochi di ruolo, sul pollo cucinato nella Coca Cola, sulla dislessia, sulla Cina, sulle barche storiche, su una malattia che ora non vi sto a raccontare, su almeno due libri che non avevo mai letto, su almeno due film che non avevo mai visto, sui tatuaggi, sulla musica ma in questo campo sono ancora molto indietro, spero di far meglio il prossimo anno.
Questo capita, con i vini fruttati.

giovedì 7 giugno 2012

VUOTO E PIENO

Poche ore fa ero insieme a tante altre persone a salutare un'amica, sorella di un'amica per me importante.
Ero ferma in un punto, sotto le volte a crociera della galleria di un cimitero, avevo già abbracciato la mia amica, la guardavo da lontano, guardavo la fila di persone che aspettavano di sfiorarla, di regalarle una parola, io non dico mai niente in queste situazioni, ripasso mentalmente quello che vorrei dire poi, quando sono di fronte al dolore, le parole si svuotano come i pensieri e regalo il mio vuoto, il vuoto che si è creato dentro di me casomai fosse possibile accogliere un po' di quel dolore, sollevare chi lo sta portando, invece no, non è mai possibile.
Ho trovato una posizione, i piedi a terra, la borsa pesante di libri su una spalla, monitoravo peso e pesi, forza di gravità e pressione, sentire d'esserci nonostante quel vuoto dentro.
A un certo punto la mia attenzione ha cominciato a essere catturata da dettagli insignificanti, irritanti, persino ridicoli: il marmo di gradini e colonne sporco e grigio, senza più nemmeno il ricordo del bianco.  i fiori di plastica a mazzetti appesi ai loculi, l'unghia smaltata di un alluce che sporgeva da un sandalo di una donna a pochi passi da me, un bidone di plastica nera vuoto che tutti spostavano per passare e nessuno rimetteva a posto, ormai era distante almeno tre metri da dove era in origine. Dovrebbero proibirli, i fiori di plastica.
I particolari irritanti sono come il peso, sono la forza di gravità che, in certi momenti, ci permette di ancorarci alla vita.
Poi ho visto i bambini, gli alunni della scuola sono arrivati in fila, ciascuno con una rosa bianca in mano, le maestre, le mamme, i papà erano di lato, sembravano dicessero non spaventatevi, siamo qui. Ma loro ce l'hanno fatta, hanno salutato, hanno posato la loro rosa, si sono guardati intorno, solo uno è scoppiato a piangere, ed era il più grande e grosso, com'è giusto, come sempre nella vita. E una bambina osservava tutto compunta, con gli occhi a spillo. Secondo me anche lei si riempiva lo sguardo di dettagli irritanti così non le veniva da piangere ma solo una specie di rabbia.
Quando sono uscita ho riacceso il cellulare, c'era il messaggio di un amica, una piccola foto di un bimbo, il suo nipotino, nato pochi minuti prima. Il vuoto si è colmato e ho visto da lontano una bimba esile che correva via con la rosa bianca in mano, forse aveva dimenticato di posarla o non aveva voluto perderla, almeno la rosa.  per non rimanere a mani vuote.

domenica 20 maggio 2012

ABBIAMO SMESSO DI RACCONTARE?

Ero in piazza giovedì scorso, il giorno della manifestazione contro il terrorismo.
Ero in piazza ieri per le inutili e impotenti parole  e poi per offrire un minuto intenso di silenzio alle ragazze di Brindisi.
Ero in piazza con molti vecchi giovedì, io che ho più di cinquant'anni mi sentivo una ragazza e, in effetti, l'attentato ad Adinolfi ha evocato dentro di me l'angoscia e la rabbia della ragazza che ero durante la stagione del terrorismo. Non ho  dimenticato lo sguardo di una compagna che aveva perso il padre in un attentato, non ho dimenticato i racconti di mio padre giornalista, cronista di giudiziaria, ben consapevole della responsabilità degli organi di informazione, non ho dimenticato la mattina in cui a scuola è arrivata la notizia del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Giovedì mi dispiaceva sentirmi una ragazza, si percepiva l'assenza dei giovani. Troppo pochi quelli presenti.
Ieri i giovani c'erano, certo, l'attentato di Brindisi è stato uno scossone alle loro sicurezze, ha attraversato le loro menti e li ha spinti in piazza. Li ho visti già per strada, sui motorini, da soli, a piccoli gruppi, chi c'era fin dall'inizio, chi è arrivato quasi alla fine ma è arrivato.
Li ho guardati e mi dispiaceva lo stesso, mi dispiaceva che un terremoto li avesse cacciati fuori.
Pensavo a quanto sia difficile raccontare. Pensavo: abbiamo raccontato abbastanza a questi ragazzi di quel tempo che pensavamo consegnato al passato? Abbiamo raccontato le nostre paure, le immagini mai cancellate, abbiamo consegnato con le nostre parole la memoria di una stagione? Abbiamo raccontato l'orrore davanti a immagini televisive quando ancora non avevamo a disposizione tutte le informazioni in tempo reale e la notizia ci arrivava lenta come un'onda che poi si abbatteva con uno schianto? Abbiamo raccontato che non c'erano talk show cui assistere perciò eravamo noi a parlarne insieme agli altri, a scuola, nei luoghi di lavoro, nei negozi, per strada e pian piano alimentavamo la nostra coscienza insieme all'angoscia?La coscienza si irrobustiva e reggeva l'angoscia.
Ieri ho pensato che ai giovani giunti in piazza era disponibile solo l'angoscia e ho pensato che dobbiamo tutti, riprendere a raccontare il frammento che abbiamo vissuto e che insieme al frammento degli altri compone un pezzo di storia.


sabato 12 maggio 2012

Torino. Salone del libro.

Torino. Salone del libro. Il prossimo anno mi porto un trolley. Sono entrata, insieme a Claudia, con uno scopo preciso, una serie di incontri con gli scrittori che dall'autunno verranno a condurre i laboratori di Officina Letteraria. Con il mio e-reader in borsa, leggero contenitore dei primi cinquanta romanzi, avevo deciso; niente acquisti a meno di trovare un libro particolare, irreperibile a Genova, impensabile in formato digitale, irrinunciabile. Sono uscita con due borse, due ecoborse, tengo a precisare, una per spalla. Praticamente un mulo col basto. Nonostante il peso, se questi pensieri che sto buttando giù fossero consegnati a una pagina di diario, come quelli che scrivevo da bambina o al tema del lunedì mattina, scriverei: " Sono tornata a casa stanca ma felice". Stanca, a Torino c'erano trenta gradi, io non sono un soggetto programmato per le fiere, dopo un po' mi sento frastornata, incapace di concentrarmi, sballottata dal rumore, dalla immagini, dalla segnaletica. Felice, abbiamo incontrato persone belle, con storie da raccontare, persone capaci di lentezza, persone senza pretesa di avere risposte, con molte domande e con la capacità di non mascherare le emozioni. Non saranno tutti così, gli scrittori, ma quelli che abbiamo incontrato io e Claudia ieri lo sono. In questo periodo di crisi e di poche speranze, saranno i libri a salvarci? Non so. Di certo ci possono aiutare.

venerdì 2 marzo 2012

L'OFFICINA DELLA SCRITTURA

Un mese di Officina Letteraria. Io e Claudia ne abbiamo fatto una questione di principio: non si tratta di un corso ma di un laboratorio. Siamo d'accordo. Le parole docente, allievo, lezione sono al bando. Qualche volta ci sfuggono ma ci correggiamo subito, ci scusiamo perfino. Ogni settimana riceviamo i testi dei partecipanti via mail con qualche riga di accompagnamento: care Emilia e Claudia, care Claudia e Emilia e fin qui niente di strano, siamo noi. Qualcuno ha scritto: care teachers, altri, ironici, hanno cominciato a darci delle guru!
Ma noi come ci definiamo? si chiedevano ieri - allievi no, quindi, visto che è un'officina, operai, manovali...
Apprendisti ! Hanno deciso.
Apprendisti stregoni, ha detto Claudia. Non è andata tanto lontana da una verità: chi racconta storie è un po' stregone, per creare una storia qualche " potere" occorre averlo, il potere di trasformare, il potere di aggregare materia e dividerla, il potere di dar vita ad altri mondi e altre esistenze.
Nel nostro laboratorio siamo tutti apprendisti, anche noi, le teachersguru, in ogni storia che leggiamo e ascoltiamo, anche di poche righe, c'è sempre un orizzonte, più o meno vicino, più o meno lontano. Ecco, in ogni storia c'è un orizzonte cui tendere e non importa se l'orizzonte si sposta sempre un po' più in là. Ricominciare fa parte del lavoro dello scrittore.

domenica 12 febbraio 2012

NON SONO UNA BLOGGER

Non sono una blogger. Guardate la data del mio ultimo post: 1 gennaio 2012.
Oggi è il 12 febbraio. Se il blog deve avere il ritmo del diario, decisamente non sono una blogger. La mia giornata è piena zeppa di cose: la famiglia, il lavoro all'Accademia, il lavoro per Officina Letteraria, le persone, gli animali, la scrittura e la lettura, la politica, Facebook...Poichè soffro di horror vacui ho anche aperto questo blog. Forse l'ho aperto anche per sperimentare un nuovo spazio. Per curiosità.
Penso al tempo sempre come a uno spazio perchè cerco di far stare molte cose nel tempo che mi è concesso. Il mio tempo però è una casa troppo piccola.
Aprire un blog è stato come mettere uno scrittoio in un angolino immaginando di potersi appartare, in qualsiasi momento, invece me lo dimentico oppure lo guardo e penso: "adesso mi ci metto", intanto vago per gli altri spazi pensando a cosa posare su quel piccolo scrittoio nell'angolino.
Abitare gli spazi e abitare il tempo. Abitare è possibile solo scegliendo cosa tenere e cosa buttare, cosa è importante e cosa no, cosa ci somiglia e cosa non ci serve. Vale per lo spazio e anche per il tempo.
Sembra facile.
Il blog? Per ora lo tengo.

domenica 1 gennaio 2012

2012

Il 2011 per me resterà l'anno del viaggio in Etiopia, del mio secondo libro e dell'antologia che mi ha offerto l'opportunità di conoscere un gruppo straordinario di scrittrici e giornaliste, l'anno dello spettacolo Madri clandestine, l'anno del rifugio ad Apricale per scrivere e pensare al riparo di un paese medievale e di una comunità accogliente, l'anno delle dimissioni di Berlusconi e della consapevolezza della grande crisi, l'anno del "Se non ora quando". L'anno della morte di un amico e di un'amica...
Un anno pieno di avvenimenti, di persone, di sentimenti, di dolori, di speranze e di delusioni, un anno come tutti gli altri ma con la sua diversità, come ogni anno, come il 2012 appena incominciato.
Volevo compilare una lista di propositi per il 2012, pensavo di scriverne 12, una per mese, sono arrivata a tre e...ho cambiato idea. Mi è venuta in mente un'esperienza di tanti anni fa: prima seduta da una psicoanalista, parlo, parlo, parlo. Lei, alla fine, stabilisce il secondo appuntamento nel quale definire il tipo di lavoro. Torno ansiosa di sapere e lei mi dice : " andiamo avanti così...senza progetto". Senza progetto? Mi spiazza. Come faccio a tenere tutto sotto controllo se non ho un progetto?
In quell'anno di sedute ho imparato molto, mi sono lasciata sorprendere, ho reagito, ho riso e ho pianto.
Farò così anche con il 2012, parto con una idea appena abbozzata e strada facendo si vedrà.
Buon anno a tutti.