martedì 27 dicembre 2011

Il sapore dei ravioli

Quest'anno ho fatto i ravioli. Rigorosamente fabbricati in casa con la ricetta genovese e il sugo di tocco.
600. Sì, 600, ore di lavoro con il conforto e anche l'aiuto di Renato, mio marito, e Zene, mia figlia. Mia figlia ha dato un contributo più significativo di mio marito, una mano istintivamente più svelta e decisa.
600. L'ho scritto su Facebook dando il via a una serie di commenti, chi ne ha fatti 650, chi ha una mamma che ai tempi d'oro ne faceva addirittura 1000, chi vorrebbe farli ma non ha tempo, chi scrive: una bella tradizione. E' la parola che ho usato portandoli in tavola in un grande piatto ovale: si continua la tradizione.
Mia mamma li ha sempre fatti ma da quest'anno si è lasciata convincere a passare il testimone, i miei figli sono contenti perchè i ravioli comprati si mangiano anche in altri momenti dell'anno ma i ravioli fatti in casa sono il piatto di Natale. Non hanno fatto commenti, non ho chiesto nulla perchè la risposta la conosco: buoni però...quelli della nonna....Un po' me lo fanno apposta con tutto quello che cucino, un po' è vero, mia madre è una cuoca straordinaria.
Una volta Andrea, il più grande, avrà avuto quattordici o quindici anni, dopo aver trascorso un pomeriggio di chiacchiere con i suoi amici mi ha detto: " Sai, oggi, ci chiedevamo come mai le nonne cucinano sempre meglio delle mamme?".
Ho tentato di fornire qualche spiegazione: le mamme lavorano e vanno di fretta, le nonne hanno più tempo, le nonne cuociono a fuoco lento che è uno dei segreti di una buona cucina, le nonne curano le tradizioni...Penso alle mie nonne e ai piatti che associo al loro ricordo. La nonna genovese a Natale preparava i pandolci da regalare a tutti i parenti e li portava a cuocere nel forno sotto casa perchè lei aveva una cucina vecchia con il ronfò, senza forno. La nonna pugliese preparava una torta salata, lei la chiamava pizza rustica con due strati di sfoglia e, in mezzo, cipolle, acciughe, olive nere prima saltate in padella. Più o meno. Non so se cucinassero bene, so che il pandolce e la pizza rustica avevano un sapore particolare reso ricco dalle storie che raccontavano facendolo, dalla spiegazione della ricetta, dai semplici gesti di preparazione che seguivo pregustando il momento dell'assaggio.
Un sapore speciale. Come i ravioli di mia madre per i miei figli. Dovrò attendere ancora un po' prima che i miei ravioli entrino nell'immaginazione di un bambino e assumano quello speciale sapore.
Nell'attesa mi esercito. Il prossimo anno li farò di nuovo.

lunedì 12 dicembre 2011

OFFICINA LETTERARIA

OFFICINA LETTERARIA è un laboratorio di Scrittura creativa che si terrà dal 2 febbraio al 19 aprile, una volta la settimana al Centro Polivalente Sivori a Genova.
Scrittura creativa, scrittura attiva, scrittura collettiva, scrittura personale, scrittura industriale collettiva....La scrittura è pratica, desiderio, aspirazione, sogno, esercizio, la scrittura  è  nella vita di tante persone.
Conosco una donna, un'artista,  che da quarant'anni si alza alle cinque del mattino, quando la sua famiglia dorme, e nel silenzio della casa scrive un diario. Conosco un uomo che scrive giocose filastrocche per i compleanni, gli anniversari, i matrimoni delle persone a cui vuol bene. Conosco un signore che scrive la storia della sua famiglia in volumi che stampare e rilegare in quattro copie, tante quanti sono i suoi nipoti. C'è una ragazza che scrive romanzi e che, al cinema o a teatro, si alza e esce per appuntarsi un pensiero, un'idea prima che le sfugga. C'è un nonno che scrive le favole che inventa, c'è una donna che scrive le ricette su un quaderno, vicino a ogni ricetta c'è una piccola storia su come ne sia venuta a conoscenza, attraverso quali persone. Ci sono i poeti, che ci ricordano sempre che possiamo sorprenderci.
Il popolo degli scrittori è numeroso, c'è più gente che scrive che gente che legge, dicono. C'è chi pubblica, c'è chi non riesce a pubblicare, chi non sa da che parte cominciare per pubblicare, chi si autopubblica, chi paga per pubblicare, chi è frustrato perchè non pubblica. C'è anche una moltitudine di viaggiatori, di persone che vivono l'esperienza nomade della scrittura, che apprezzano la lentezza, che esplorano la scrittura in quanto spazio, che assecondano la scrittura come tempo. Tempo lento. Si scrive per vivere molte vite, si scrive per cercare di capire meglio la vita che si ha, si scrive per non perdere la memoria, si scrive per lasciare una traccia, si scrive per seguire altre tracce.

martedì 6 dicembre 2011

NATALE SENZA REGALI

" Un Natale senza regali non è Natale!" lamentava Jo March all'inizio di Piccole donne, il romanzo di Louise May Alcott.
Mio figlio, dopo un anno dal suo arrivo dall'Etiopia, mi presentava una lista interminabile di richieste da fare a Babbo Natale. Gli dicevo, pedagogica, che non poteva chiedere così tanti regali perchè Babbo Natale doveva portarne a tutti i bambini del mondo. Ha riflettuto pochi minuti sulla strana teoria di distribuzione delle ricchezze che gli stavo propinando e mi ha detto: " Allora a me va sempre male. In Etiopia Babbo Natale non arrivava a portarci i regali e qui non posso chiedere tutti quelli che voglio perchè lui deve portarli anche agli altri". Già...
Babbo Natale non arriva in Etiopia e nemmeno in India e nemmeno in Cambogia e nemmeno nelle favelas brasiliane e non solo perchè è un'invenzione di un'altra cultura e una tradizione manipolata dalla società dei consumi.
Quest'anno nella mia famiglia allargata non ci sarà lo scambio dei regali. Invece dei regali abbiamo deciso di cominciare il sostegno a una bambina ( o bambino) etiope. Ci regaliamo una speranza.
La speranza in un mondo migliore, che era, in origine, il senso vero del Natale.
www.ciai.it

mercoledì 30 novembre 2011

TRE SEDIE

Tre sedie nell'immagine di questo blog. E' un'immagine che ho inserito da qualche tempo, una fotografia che ho scattato in Etiopia, ad Arba Minch.
Arba Minch è una città nella parte meridionale dell'Etiopia, il nome significa Quaranta sorgenti, la ricchezza della zona è - sembra incredibile pensando alla siccità che sovente affligge il corno d'Africa - l'acqua. Io e i miei compagni di viaggio dormivamo in un lodge con un giardino di banani e di bouganvillee giganti,  abitato da uccelli e visitato , il mattino molto presto, dai babbuini. Protetti dal giardino non si aveva la sensazione di essere in alto ma seguendo un viottolo di terra rossa si sbucava su....l'orlo del mondo! Davanti a noi i laghi Chamo e Abaya e il ponte di terra che li collega e che si chiama Ponte di Dio. Intorno ai laghi il verde intenso di una natura rigogliosa e oltre i laghi gli orizzonti azzurrini di altri altipiani. Come non pensare all'Africa terra madre, come non pensare all'infinitamente grande e all'infinitamente piccolo, alla ricchezza che noi, genere umano, stiamo dilapidando? Tre sedie sull'orlo del mondo erano un invito alla meditazione e alla contemplazione.
"A casa mia avevo tre sedie: una per la solitudine, due per l'amicizia, tre per la società" ( Henry David Thoreau).

giovedì 24 novembre 2011

DANNATO SILENZIO

http://www.youtube.com/watch?v=pINm1OjdEAQ

il silenzio delle donne che subiscono violenza
il silenzio delle persone che vivono vicino alle donne che subiscono violenza
il silenzio dei testimoni
il silenzio delle istituzioni
il silenzio della politica
il silenzio....il silenzio....il silenzio...DANNATO SILENZIO

Ho partecipato alla realizzazione del video DANNATO SILENZIO che è da alcuni giorni su Youtube ed è stato prodotto dalla Fondazione Cultura e da Genova Città digitale, ideato da un gruppo di persone tra le quali Nicla Vassallo, Gianni Ansaldi e Mario Benvenuto.
Ho partecipato insieme a mia figlia e alla figlia di mio marito, orgogliosa di essere con loro perchè di donna in donna, passandoci questo messaggio, questa indignazione, questa volontà forse riusciremo a costruire un futuro migliore anche su questo tema.
Guardate il video, diffondetelo e domani  ( ma non solo domani...) pensateci!

domenica 13 novembre 2011

S come SOBRIETA'

Ora ci aspettiamo che il governo dei tecnici sia in grado di tirarci fuori dai guai. Ci aspettiamo di dover fare dei sacrifici perchè salvatori della patria non ce ne sono, il paese lo possiamo salvare tutti insieme, questo lo dovremmo sapere.
In gioco c'è la serenità di tutti, la sopravvivenza di molti, il futuro dei giovani.
In gioco c'è la credibilità dell'Italia e, a questo proposito, spero che la transizione serva per recuperare il rapporto con la parola sobrietà.
Sobrietà nella politica, nei consumi, nel linguaggio, nei comportamenti.
Quasi vent'anni di accumulo di tivù spazzatura, di politica spazzatura, di leggi ad personam, di conflitti di interessi, di mortificazione dell'immagine della donna, di danni alle nuove generazioni, alla scuola, alla cultura, ai più deboli. Vent'anni sono sufficienti per una metamorfosi, per un cambiamento profondo, per un'impronta visibile. Ce ne vorranno altri venti? Cominciamo a lavorarci, buttiamo via piano piano dalle nostre teste, dalle nostre case, dalle nostre abitudini di vita, dal nostro linguaggio, dalle nostre scelte tutto quello che vi è stato introdotto. Certo qualcuno di noi ha resistito, chi più, chi meno, qualcuno è stato consapevole, qualcuno è stato sempre contro. Però...cerchiamo, proviamoci lo stesso, qualcosa da buttare via lo troveremo anche noi. Sarà un sollievo.
Il sollievo della sobrietà.

F come Fragilità

Il dopo alluvione è stato un mix di dolore e depressione, il dolore per le vittime, prima di tutto, poi il dolore per la fragilità della città e la depressione per le parole vuote, per la retorica, per le ambiguità e la superficialità.
Nel Settanta avevo undici anni, non avevo fratelli e sorelle più grandi a cui attaccarmi per andare a spalare, ero una scout ma a noi " piccoli" ci hanno lasciato a casa e, dopo qualche giorno, nella sede a fare pacchi di vestiti. Guardavo i ragazzi più grandi come eroi. Mio padre era cronista in un giornale cittadino, arrivava a casa e ci raccontava, ci descriveva il disastro dell'acqua e dell'esondazione, una mattina, mi ha portato a vedere la piazza della stazione Brignole dall'alto, da via Gropallo, non ho mai più dimenticato il paesaggio che mi sono ritrovata davanti, ricordo il grigio del fango e un'automobile su un albero.
E' passato tanto tempo, da allora quando cade molta acqua la paura si fa strada dentro di noi, Sestri Ponente l'anno scorso è stata la conferma che poteva ancora accadere, che può sempre accadere.
Ora ci interroghiamo se sia possibile raggiungere un livello alto di sicurezza, se ci siano e quali siano le responsabilità e di chi, di quanti nel corso di quarant'anni hanno sottovalutato, hanno imparato a convivere con il ricordo di una tragedia e forse a rimuoverlo, non si sono assunti le proprie responsabilità, tutti, dagli amministratori ai cittadini, nei confronti di una città fragile, di un territorio difficile.
La nota positiva è che dopo tanti è anni è rimasta intatta la capacità di solidarietà e tanti, tantissimi ragazzi, come allora, sono andati a dare una mano.
In questo Genova non è fragile.

lunedì 7 novembre 2011

Frammenti da un diario di viaggio


Per primo l’odore. Forte. Di spezie. E’ un buon odore, dice mia figlia che muove i suoi primi passi in Etiopia dopo dodici anni.
Poi la città . Un primo sguardo dal bus che ci porta in albergo: palazzi in costruzione con le impalcature di legno, strade con il fango degli ultimi rovesci della stagione delle piogge, tra i cantieri, le chiese copte e i palazzi le botteghe di legno e lamiera dipinte a tinte vivaci, lo slum diffuso, spazi verdi con le capre, le baracche e gente che va e che viene.
Camminano gli etiopi, veloci, a grandi falcate da podisti, oppure lenti leggermente dinoccolati, camminano, camminano.
Banane appese.
Un sarto con una vecchia Singer sotto un riparo di plastica. Una fila di asinelli fra le auto.
Sciarpe come turbanti, sciarpe come mantelle, sciarpe come scialli. Sciarpe svolazzanti.
Mendicanti.
Dentro il nostro furgone una musica africana suona la città.
Sede del CIAI: profumo di caffè, l’odore buono e intenso dell’incontro.
Piove. Mangiamo e chiacchieriamo sotto una tettoia, sono seduta vicino a una donna che parla solo amharico, ci sorridiamo e, alla fine, ci salutiamo abbracciandoci, contente della nostra muta conversazione, di aver conosciuto anche solo quei sorrisi e quel silenzio, meglio che non essersi mai incontrate.
Verso sud.
Pianura e valli, ginestre, mimose, campi coltivati, colline, acacie, eucalipti e, infine , le coltivazioni di banani, veri e falsi, e i laghi Abaya e Chamo.
Sulla strada gente in cammino, verso i mercati, dai mercati, verso l’acqua, dall’acqua, verso le chiese e i minareti, dalle chiese e i minareti, verso un villaggio, da un villaggio.
Camminano a gruppi, spediti o lenti, allegri o pensierosi. Camminano, camminano.
Camminano le donne, cariche di peso, fagotti, taniche di acqua, fascine di legna.
Camminano le bambine con i fratellini sulla schiena.
Camminano le ragazze sotto gli ombrelli aperti per il sole o per la pioggia, neri o colorati.
Camminano le ragazze vestite all’occidentale e i vecchi con la giacca e il cappello.

Mangiamo chilometri a inseguire la caduta del sole, dentro l’auto la voce di Aster Aweke canta l’Etiopia.
Sorrisi, saluti. Hello ferenji, hello money, hello t-shirt, hello pen, hello, hello, hello, give me something :guardami ferenji, ballo per te.
Al terzo giorno sembra di essere in viaggio da un mese, sembra che il nostro posto sia qui e basta, in giro per il sud dell’Etiopia, siamo lontani dal nostro mondo e ci sforziamo di essere vicini a questo mondo nel quale entriamo con tutta la discrezione di cui siamo capaci, sentendoci sempre come il famoso elefante nel negozio di cristallerie.
L’accoglienza che ci riserva il popolo Dorze, i bambini che fanno scivolare la loro mano nella nostra, le donne che ci abbracciano tre volte, ci baciano tre volte, il cibo che ci hanno preparato, la comunità riunita per testimoniare la loro gioia per la nuova scuola, per una promessa mantenuta, ci avvolgono, ci includono, ci trascinano in un sentimento collettivo di appartenenza: potremmo tornare ancora, venire a piedi, fermarci qualche giorno, portare in dono quello che sappiamo fare. Per ora lasciamo un pezzetto di cuore e la scuola che, dicono, era il loro sogno.
Pranziamo tardi, all’ora del tè. Al momento della cena, nel lodge di Arba Minch, nessuno ha fame ma a tavola ci siamo quasi tutti, spinti da un’altra fame, quella di condividere impressioni, stati d’animo, idee. E’ il quarto giorno di viaggio: siamo diventati una comunità.
Sempre più a sud.

La terra si accende di rosso, la vegetazione diventa più rada e più bassa, i giganteschi termitai ci ricordano che l’uomo scultore ha appreso la sua arte dalla natura, la struttura perfetta di alcuni tucul ci ricorda che l’uomo architetto ha fin dal principio misurato il confine tra il proprio spazio e quello degli animali, il proprio spazio e quello degli altri uomini, senza voler prendere mai troppo spazio.
Il cielo è una volta bassa e ampia, l’orientamento quando la strada diventa pista è più difficile, noi ferenji, al di fuori di questa jeep, nella nostra versione più semplice eppur grondante benessere, col cellulare che non prende, qualche bottiglia d’acqua e qualche oggetto inutile nei nostri zaini, saremmo senza difese e senza risorse.
Il pozzo che scende a imbuto tra le rocce, il pozzo che strappa alle gole un lamento che è ricerca del ritmo, che è possibilità di resistenza alla fatica, che è canto, dicono le guide, infatti il pozzo è “cantante”,  è anche il simbolo della madre di tutte le ingiustizie: la ricchezza nelle mani di uno solo, il lavoro duro e mal pagato, la sopravvivenza di uomini e bestie a pagamento….
Il popolo dei Borana: le donne sono avvolte in stoffe a disegni blu portate dal Kenya e i capelli acconciati ai lati del volto con una scriminatura in cima alla testa, i capi villaggio tengono un lungo bastone, hanno l’eleganza dei Masai, bei volti gentili ma non estroversi, la pelle più ebano di tutti gli etiopi incontrati.
Guardo mia figlia. Lei guarda le donne e poi guarda me. E’ l’etnia più somigliante a lei che abbiamo incontrato. Dovevamo arrivare fin qui, nel sud, per poterci finalmente specchiare. Lei e..io, insieme.
La stagione delle piogge non è ancora finita. Risaliamo verso Addis Abeba passando per Awasa.
Una sosta. Una ragazzina ci osserva incuriosita strizzati nelle nostre giacche a vento, sotto i nostri improbabili cappelli, appesi a ombrellini da viaggio, i più piccoli reperiti in commercio. Sorride riparandosi con una grande foglia di banano che sorregge elegantemente con due dita.
Lasciamo il sud, il lago col mercato del pesce, lasciamo i tucul e i falsi banani, lasciamo la strada dove incrociavamo autobus carichi di gente e di fagotti, cavalli e muli contromano, più ci avviciniamo ad Addis Abeba, sotto la pioggia, più ci addentriamo nel traffico dei camion, arrivano da Gibuti dice il nostro autista, passiamo le fabbriche cinesi, passiamo le case popolari in costruzione, cominciamo a vedere la baraccopoli, le distese di onduline di lamiera sormontate dalle parabole. Siamo di nuovo ad Addis.
Gli ultimi giorni ad Addis per alcuni di noi, i componenti delle due famiglie adottive della comunità viaggiante, sono giorni di emozioni, di sentimenti forti, di domande senza risposte, di domande per future risposte.
Andremo in Etiopia, lo abbiamo detto sempre, andremo in Etiopia perché ogni storia ha bisogno di conoscenza e di riconciliazione, perché la memoria è un alimento fondamentale per l’individuo e non ha bisogno di molto , di un luogo se c’è, di un volto se c’è, di un nome, di una data, di un odore, un sapore.
Nella storia dei nostri figli era previsto ci fosse questo viaggio alla ricerca di un alimento che solo l’Etiopia, paese tra i più poveri al mondo, può offrire loro. Un viaggio da fare appena si fosse stati un po’ più robusti e forti, con qualche certezza, per esempio l’amore, e senza troppa paura delle domande e delle risposte.
Addis per noi non è stata la visita al museo, al monte Entoto, la partecipazione alla cerimonia del Meskal, Addis è stata la visita agli istituti Almaz e Kidane Meret.
Una bambina di cinque anni guarda i nostri ragazzi li osserva con attenzione, senza perdersi un dettaglio, un gesto, i gesti fra noi genitori e loro. E’ una bimba in attesa, già assegnata, entro breve avrà di nuovo una famiglia. Forse incontrare questi tre ragazzi la aiuterà ad attendere la svolta nella sua vita con meno timore.
Tensione ed emozione si sciolgono nella festosità dello spettacolo del Fekat Circus, abbiamo raggiunto i nostri compagni di viaggio che ci guardano, ci chiedono con discrezione, sento una carezza su una spalla, una mano che stringe la mia, ciascuno ha il proprio modo di mandare un piccolo segnale. Dal nostro mondo ci stanno già riacciuffando, i cellulari funzionano, qualcuno riceve anche già telefonate dall’ufficio però siamo ancora lontani e quando ci abbracceremo, salutandoci, a Malpensa scioglieremo la piccola comunità viaggiante consapevoli di aver condiviso più di quello che avremmo pensato e sperato.
Selam.



domenica 6 novembre 2011

S come Silenzio

E' in questa domenica di silenzio che desidero rompere il silenzio nel quale ho abbandonato questo blog per mesi.
Mi preparavo a un viaggio e avevo bisogno di silenzio.
Ho fatto il viaggio e , dopo, ho avuto bisogno di silenzio.
Oggi ho pensato alle donne e alle piccole donne uccise dalla furia dell'acqua nella mia città e solo il silenzio può accogliere la tristezza per questa tragedia.
Voglio scrivere poche parole, i loro nomi: Gioia, Janissa, Serena, Shpresa, Angela, Evelina.

martedì 5 luglio 2011

SPOSI IN PRIMA PAGINA

Domenica scorsa ( 3 luglio) sulla prima pagina de La Stampa c'era una bella fotografia con due sposi , lui in scuro, lei in bianco, ridono sotto un ombrello verde sorpresi forse da qualche goccia di pioggia.
In alto tra le notizie varie anticipate in prima pagina una piccola foto/francobollo di Charlene e Alberto di Monaco, le nozze vip dell'estate.
Le nozze di Gaetano Tuccillo, morto in Afghanistan il venerdì o il sabato, hanno avuto l'onore della prima pagina, il matrimonio di due giovani qualunque con gli abiti belli per il loro giorno di felicità, che ispirano un'immediata simpatia per la loro risata aperta.
La foto del matrimonio in prima pagina per questa giovane donna che resta sola, da riguardare qualche volta, la prima pagina riservata alle principesse e , qualche volta, alle star dello spettacolo. Non è una consolazione certo ma è una gentilezza che la redazione della Stampa ha deciso di fare.
Giornalismo in controtendenza: una pagina di gentilezza.

sabato 11 giugno 2011

A come Acqua

Mio figlio, quando aveva tre anni ed era appena arrivato dall'Etiopia, non riusciva a smettere di stupirsi della magia dell'acqua che usciva dal rubinetto, con un semplice gesto, fresca o calda secondo le esigenze. Sugli altipiani le notti sono molto fredde, ricordandosene diceva sempre: " Quando sarò grande porterò l'acqua calda in Etiopia per lavarsi al mattino".
I primi giorni mangiava e si teneva un bicchiere pieno d'acqua vicino al piatto, lo beveva lentamente tutto in una volta a fine pasto, non riusciva a immaginare che ce ne sarebbe stato un altro quando lo avesse desiderato. Era abituato a resistere alla sete.
Ha dimenticato tutte le parole della sua lingua, tranne una: Uhà. Acqua.
Mia figlia raccontava le giornate in cui le donne, tutte insieme, grandi e piccole, andavano a prendere l'acqua,in un posto lontano dalle loro case, dove facevano il bagno, si lavavano i capelli, le bambine giocavano, un ricordo bellissimo, al ritorno cantavano, erano felici perchè avevano una provvista d'acqua per molti giorni. Un ricordo doloroso: la notte in cui sono arrivati i nemici, per prima cosa hanno sparato nelle cisterne disperdendo l'acqua.
In ogni parte del mondo l'acqua è un bene irrinunciabile, è madre e vita, come la terra.
L'acqua in ogni parte del mondo deve essere disponibile.
L'acqua in ogni parte del mondo deve essere pubblica.
Domani diciamo SI. Diciamolo con il nostro voto al referendum.

lunedì 30 maggio 2011

V come VITTORIA

Lungo silenzio. Sono andata in giro per le presentazioni del mio libro. Napoli e poi Sassari.
Sul traghetto del ritorno, venerdì sera, il venerdì prima dei ballottaggi per intenderci, i passeggeri guardavano la televisione. Quattro televisori nei quattro angoli della sala bar, uno sintonizzato su canale cinque con tre, quattro persone davanti ( una dormiva), gli altri tutti su Anno Zero con gente seduta, in piedi, tutti attenti e seri. Un bel segnale, mi sono detta.
E oggi VITTORIA! La primavera di un popolo democratico che si esprime con il voto. E la primavera italiana afferma con forza una scelta di cambiamento. Milano, Napoli, Cagliari, Trieste, tante città e...Arcore!
Ad Arcore ha vinto una donna che sarà la sindaco anche del Presidente del Consiglio! Certe vittorie sono più simboliche di altre.
Stiamo per ritornare ad essere un paese normale, stanchi di incapacità, di volgarità, di degrado, di arroganza, di furbizia, stanchi di guerra...
E ora dobbiamo andare tutti ai Referendum, il vento del cambiamento deve continuare a soffiare.
La sensazione è che abbia cominciato a soffiare il 13 febbraio con la manifestazione delle donne, la manifestazione delle sciarpe bianche.

sabato 14 maggio 2011

STORIE IN SCENA

Ancora due repliche e si chiude la mia prima ( o unica? chissà?) esperienza come autrice di un testo teatrale.
Il bilancio è positivo. Ho visto lo spettacolo due volte. La sera della prima ero tesa, lo ero per me stessa, lo ero per Carla, l'attrice, per le cantanti, per il regista, ho seguito con una certa ansia, percepivo l'emozione e la tensione sul palcoscenico, percepivo i respiri, i colpetti di tosse in sala. Applausi ( uno anche a scena aperta), pubblico contento. Ci sono tornata, la terza sera e sono riuscita a godermelo.
Fa uno strano effetto " vedere" i propri personaggi, in questo caso si tratta di cinque donne, tutte interpretate da Carla che per ciascuna sceglie un registro diverso.
Nunzia cuce le storie di tutte mentre cuce una trapunta, fatta di tanti quadrati di stoffa, destinata a una bimba. La scenografia è una parete di stoffa, fatta di tante stoffe diverse e di abiti, una parte è un velo sottile oltre il quale c'è il coro delle donne che cantano in diverse lingue e, ciascuna, anche nella lingua delle altre. Cantano anche i trallallero, cantano tutte in genovese e l'autoironia di Yukari, giapponese, che
canta e ride ( perchè il canto e il teatro raccontano la gioia e il dolore, sono catarsi e gioco) è un invito alla speranza come Sofia, la bimba che nella storia una mamma africana "scende" in mare da un barcone regalandole la salvezza e che tante donne diverse culleranno e cresceranno tutte insieme. Perchè la speranza di un mondo diverso per le donne dovrebbe essere "la figlia che cresceremo tutte insieme".

sabato 7 maggio 2011

LA STAGIONE DEL GIARDINO

E' incominciata la stagione del giardino. E' un tempo di speranze. Pulisco il giardino, lo aiuto a scrollarsi l'inverno di dosso, gli affido nuove piante, divento premurosa. Il mio giardino è uno spazio paziente, sopporta la mia passione per le tribù, per le contaminazioni e le differenze, sopporta il mio horror vacui e accoglie l'acero vicino alla mimosa, il ciliegio poco distante da un arancio che è poco distante da un limone e da un kunquat e da un alberello di rose..... Le new entry di questo inizio di stagione sono un prugno, due piante di rose ( una è la rosa bruna da sciroppo!), lavanda e altre piccole piante per gli anfratti, gli angoli, le fessure. Scendo in giardino da una scaletta di tre o quattro gradini, al mattino quando apro le finestre o la sera prima di chiudere, mi piace soffermarmi, lasciar correre lo sguardo da una pianta all'altra, di colore in colore, i verdi, tanti e diversi, il rosa della fucsia, il lilla dell'ortensia, il viola della lavanda, il giallo delle margherite, il bianco delle rose.
Descritto così sembra un giardino da rivista, no, è un giardino improbabile per gli accostamenti e piuttosto disastrato per le scorribande del nostro cane, 40 chili di golden retrivier , un fanatico del lancio della pallina.
Quest'anno ho sperimentato il compostaggio con tanto di compostiera ritirata presso l'AMIU, ho concimato col primo concime prodotto con i rifiuti del giardino stesso e della cucina ( foglie, rametti, bucce di frutta, avanzi di verdura, gusci d'uovo, fondi di the e di caffè). Ora è un giardino sostenibile. La presenza del cane e di diversi gatti mi impedisce di tenere una piccola zona a orto però mi arrangio con microcoltivazioni in vaso: maggiorana, rosmarino,salvia, prezzemolo, fragole,spinacetti,fagiolini nani.
E poi...c'è un grande ciliegio, vecchio e contorto che ogni anno regala a noi e a una colonia di uccelli famelici e chiassosi un bel po' di frutti. Il ciliegio è anche la base aerea del nostro gatto rosso.
La stagione del giardino è piena di promesse, di amici, di chiacchiere, di libri letti all'ombra del ciliegio, della prima pagina della storia che ho in testa e che presto comincerò a scrivere.

domenica 1 maggio 2011

S come SOGNO e come SGOMENTO

Insegno da ventisei anni. Lavorare con i giovani, per i giovani è un privilegio perchè si semina sapendo che saranno loro a raccogliere e , quindi, il nostro lavoro vivrà ancora un po', nel futuro, perchè si ha la possibilità di essere a contatto con il cambiamento, i costumi e le mode, la famiglia e l'amore, le tecnologie, i sogni. Ecco...i sogni. In ventisei anni il sogno comune a tutti i giovani che ho conosciuto all'Accademia di Belle Arti era riuscire a fare un lavoro che appassiona e coinvolge, quello per cui si è studiato, quello per cui i genitori hanno investito del denaro, quello per cui si è lottato contro la famiglia che non capiva, quello per cui ci si è spostati da una cittadina di provincia o da un paese in città, quello per cui si è fatto il cameriere o la baby sitter o il bagnino per pagarsi la stanza fuori sede o comprarsi materiali e attrezzature....Non è facile nè così frequente realizzare i sogni e qualcuno finiva inevitabilmente per fare un altro mestiere, quello che capitava, con un sospiro di rimpianto certo ma con uno stipendio che consentiva di metter su casa, di far famiglia.
Capita che gli ex studenti mi vengano a trovare, capita di incontrarli per strada, con alcuni di loro ho mantenuto un rapporto di amicizia. Chi è più contento, chi più scontento, chi ha figli, chi no, alcuni sono liberi professionisti, altri sono precari...scrivo queste cose e ho in testa volti, situazioni, persone precise.
Da due o tre anni la situazione è cambiata, non solo per i miei studenti, anche per tanti altri studenti che conosco che hanno seguito diversi percorsi di formazione. La parola che mi viene in mente è sgomento.
Vengono e sono sgomenti: non c'è lavoro se non occasionale, non c'è possibilità di previsione. Qualcuno si chiede: rinunciare al sogno o perseverare? La crisi quanto durerà?
Se e quando la crisi finirà i giovani che non sono riusciti a dare continuità alle loro esperienze lavorative in questo periodo, avranno un buco nel curriculum e saranno svantaggiati rispetto ai nuovi laureati, freschi di studi. Se la crisi avrà una lunga durata sarà quasi una generazione ad essere danneggiata.
Sono i giovani che fin da bambini hanno studiato l'inglese, che hanno fatto la scuola delle tre I, che hanno avuto il 3+2, i master, gli workshop e gli stages. Sono i giovani che sono stati educati con l'idea che la formazione rende competitivi sul mercato e che ora non hanno un mercato in cui inserirsi impiegando le loro competenze. La prima generazione, dicono, che non migliorerà rispetto a quella precedente, la prima volta dal dopoguerra.
Traditi da tutte le riforme, da tutte le politiche, traditi e basta.
E' molto difficile parlare con i giovani senza parlare di futuro, è imbarazzante parlare con i giovani senza parlare di sogni, è difficile oggi parlare con i giovani e percepire il loro sgomento.

venerdì 15 aprile 2011

MADRI CLANDESTINE

Madri clandestine. E' il titolo di uno spettacolo. L'ho scritto un anno fa per Carla Peirolero, andrà in scena al Teatro Duse dall'11 al 15 maggio.
E' la storia di una donna, Nunzia, che lavora in un CPA ( Centro di Prima Accoglienza) a Lampedusa ( ora si chiama CIE: Centro di Identificazione e di Espulsione).
Nunzia racconta di sè e di alcune donne che ha conosciuto, che le hanno consegnato un racconto di disperazione e di paura ma sempre intriso di una forte volontà di riscatto. Una donna albanese, una cinese, una algerina, una italiana. Tutte madri e tutte, in diverso modo e con un diverso destino, clandestine.
Quando ho scritto questo testo i CPA stavano per chiudere, le navi della speranza venivano regolarmente respinte, non si accoglieva più nessuno. Dopo un anno la situazione è cambiata, il CPA è diventato CIE, non è più il luogo silenzioso e vuoto del tempo dei respingimenti, è affollato e problematico. Accogliere per identificare ed espellere?
Insieme a Carla Peirolero e ad Antonio Zavatteri, il regista, abbiamo deciso alcuni piccoli interventi sul testo in base agli ultimi avvenimenti, alle immagini e alle informazioni che arrivano da Lampedusa.
Non volevamo il respingimento e ora vorremmo altri modi e forme di accoglienza.
In scena Carla Peirolero e un coro multietnico di donne ( Russia, Giappone, Nigeria, Marocco) coordinato da Laura Parodi, i trallalleri e le ninne nanne, i canti delle donne, i canti in diverse lingue. Per pensare e credere tutti insieme a una società possibile.www.suqgenova.it

sabato 2 aprile 2011

A come ALLARGATA ( la famiglia)

Un libro spesso nasce non solo da una storia ma da più storie. Per questo quando mi chiedono se Nina, la protagonista di Famiglia: femminile plurale, sono io rispondo che Nina è la somma di tante donne, tra queste donne certamente ci sono anch'io. Nina è al centro di una famiglia allargata; per raccontare la vita, le relazioni, i problemi di questa famiglia ho utilizzato la mia come " laboratorio". Ora che il libro è uscito, che ricevo i primi commenti ecco che escono allo scoperto tante famiglie allargate che si riconoscono, ne ho conosciuto una con una figlia di un primo matrimonio che, nell'adolescenza,  ha scelto di vivere per qualche anno con il padre, la sua seconda moglie e i figli nati dal nuovo matrimonio ( proprio come la mia Alice del libro) e con un figlio dislessico ( come Lorenzo)!
Una lettrice mi ha raccontato dei suoi due matrimoni e di un unico figlio con " due padri", un'altra delle tre figlie di padri diversi che ha tirato su da sola, un'altra ancora mi raccontava degli otto nonni di sua figlia, insomma: le famiglie regolari sono tutte uguali ( almeno nella loro composizione poi per fortuna hanno tutte la loro unicità) e le famiglie allargate sono allargate tutte a modo loro. Quella che si allarga più da una parte, o dall'altra, quella che riesce a includere tutti e si allarga in tutte le direzioni ( il tipo più raro), quella che si allarga al femminile o al maschile, quella che si allarga agli amici, ai vicini di casa...L'importante è non irrigidirsi e se c'è bisogno di qualche figura sostitutiva ben venga e allora largo ai non zii, ai finti nonni, alle sorelle d'elezione, alle pseudocugine.

giovedì 17 marzo 2011

PANE E RISORGIMENTO

Sono cresciuta a pane e Risorgimento. Sì, perchè mio padre, giornalista, aveva una passione per il Risorgimento e ha riversato questa sua passione in ricerche durate una vita, articoli di terza pagina, qualche bel libro. In particolare si è dedicato alle donne che hanno fatto l' Italia: Maria Mazzini, Eleonora Ruffini, Cristina Trivulzio di Belgioioso, Rosalia Montmasson, Carlotta Benettini, Valentina Giusti e lei...Anita, l'amazzone rossa.
In questo periodo di rinverdimento dell'orgoglio nazionale, di riscoperta del tricolore e dell'inno, di Mazzini e di Garibaldi, in questo periodo di celebrazioni, discorsi, mostre, concerti io, che sono cresciuta con i racconti appassionati di mio padre, con gli eroi romantici, giovani e belli di quell'epoca, con l'idea, che proprio là in quelle passioni, in quel sacrificio, in quegli slanci e in quelle intelligenze ci fosse una radice importante della nostra storia, ebbene in questo periodo io non riesco a sentirmi del tutto a mio agio. Sono d'accordo con l'istituzione della festa nazionale, sono animata da uno spirito antileghista, antipadano, anticarroccio, senza esitazioni. Ho apprezzato, come sempre, il discorso del Presidente della Repubblica.
Sono contenta di essere italiana, sono contenta che nel mio paese ci sia uno straordinario patrimonio di cultura però vorrei essere orgogliosa per le leggi, le risorse, la tutela, la valorizzazione che il mio paese destina alla cultura. E non posso. Vorrei essere orgogliosa per un sistema scolastico efficiente, moderno, al centro delle politiche del governo come investimento sul futuro. E non posso.
Vorrei essere orgogliosa per la capacità di accoglienza, per l'assenza di razzismo, per la capacità di pensare a un futuro con italiani di tutti i colori, di molte lingue e molte religioni. E non posso.
Potrei andare avanti.
E' vero, come dice il nostro Presidente, che occorre un nuovo " cemento per l'unità nazionale", il cemento lo si trova nelle idee e nello slancio comune per sostenerle. Spero- è giusto non smettere di sperare - che questo slancio sia lì, in procinto di svelarsi, di trascinarci tutti per dare ali alle idee e ai desideri : la scuola, il lavoro, i diritti, la cultura....per essere più orgogliosi tutti di essere italiani o di aver scelto di vivere in Italia o di esserci arrivati per i casi della vita ed essersi sentiti a casa.

giovedì 10 marzo 2011

Il FUTURO

In piazza c'era tutto e anche qualcosa di più. C'erano le magliette con la scritta SE NON ORA QUANDO? C'erano le sveglie, sveglie da negozio del rigattiere, sveglie colorate da bambini, sveglie giganti, sveglie da viaggio. C'erano i cellulari, trillavano già prima dell'ora convenuta perchè tutti facevano le prove e tentavano di selezionare una suoneria realistica " da sveglia" e non il Bolero, il canto del gallo, l'urlo Sioux o il cucù. C'erano l'inno nazionale e Bella ciao, c'era la bandiera italiana e c'erano le fiaccole. C'erano i cartelli per la Libia, la Tunisia, l'Egitto, c'era il nome di una ragazza uccisa da un uomo, c'era la mimosa nella carta argentata. In piazza c'erano le donne del movimento femminista,c'erano le donne che il femminismo per tante ragioni se lo sono perso e ora vogliono dire che ci sono, che anche loro vogliono contribuire, che hanno capito dopo e sono contente di avere un'occasione di partecipare a un nuovo movimento. C'erano le quarantenni e le trentenni e le ventenni e le quindicenni e le bambine. C'erano anche i bambini, i maschi, con le loro mamme e anche qualche papà.
Vedere tante donne giovani mi ha rallegrato, mi sembrava di guardare in faccia il futuro, sì, quello che ha tanti sabotatori, quello che sembra impossibile, deprivato di fondamenta, quello per cui tutte pensiamo si debba ancora lottare. Ieri, in mezzo a tante ragazze, d'improvviso il futuro aveva il viso di Eleonora, di Enrica, di Francesca, di Astrid, di Sara, di Laura.
Il viso di Zenebech, italiana con la pelle nera.
Andiamo avanti, tutte insieme.

martedì 8 marzo 2011

MIMOSE e PIANTE GRASSE

Il nostro alberello di mimosa è fiorito d'improvviso qualche giorno fa, un tripudio di giallo per non farsi trovare impreparato per l'8 marzo, e pensare che il nostro è un giardino in ombra però, da quando l'abbiamo piantato, lui ( l'alberello o lei...la mimosa) ce la fa e fiorisce tra febbraio e marzo. Cresce in fretta, comincia protendersi sul giardino, si fa spazio con determinazione, pretende il SUO spazio. " In questo giardino - dice un amico giardiniere - sarà l'albero del domani".
FARSI SPAZIO, CHIEDERE SPAZIO, PRETENDERE/ESIGERE  SPAZIO....come la mimosa Ci penso mentre scrivo e ho già la sciarpa bianca al collo per andare alla manifestazione: Flash Mob con la sveglia! Ma cos'è 'sto flash mob ? Chiedeva una signora anziana seduta vicino a me a una riunione di donne. Ascoltava la spiegazione e intanto guardava l'orologio e diceva: benedette ragazze -all'indirizzo delle organizzatrici - due ore che siamo qui, devo andare a preparare la cena, ho lasciato mio marito davanti alla televisione, meno male che oggi si sentiva di starsene un po' da solo, io qui ci dovevo venire, è un momento cara - e mi guardava - che dobbiamo esserci.
Chissà se la troverò in piazza con la sciarpa bianca, chissà oggi suo marito come si sente.
A volte invece della mimosa ho pensato di regalare alle amiche una pianta grassa. Le piante grasse mi commuovono: poca acqua e grande, tenace resistenza poi un fiore meraviglioso. Forse mi identifico però mi capita di pensare alle donne più come piante grasse che come mimose.

giovedì 3 marzo 2011

GIU' LE MANI DALLA SCUOLA PUBBLICA !

Mia nonna Rosa era una maestra. Era nata in un paese in provincia di Bari nel 1900. Appena diplomata alle magistrali vinse il concorso con l'assegnazione della cattedra in una paese in provincia di Brindisi. Impensabile che una signorina si trasferisse da sola in un posto sconosciuto, non riuscendo a imporle di rinunciare al posto ( mia nonna era una donna molto determinata e per l'epoca piuttosto indipendente) suo padre le spedì dietro una sorella di qualche anno più grande.
Era orgogliosa di " insegnare nello stato" come diceva lei, orgogliosa dei suoi allievi figli di contadini in Puglia e, una volta trasferita in Liguria, orgogliosa della sua prima classe a Uscio: due bambini di prima, uno di seconda, due di terza, una di quarta, due di quinta tutti insieme in una stanza con una stufa, le sedie in circolo e la lavagna. Raccontava di una classe a Teglia, indimenticabile: 40 maschi!
Insegnare in piccoli centri significava avere un ruolo pubblico, la maestra come il sindaco, il medico e il parroco, era un punto di riferimento. L'esperienza d'insegnamento in diversi quartieri della città l'aveva portata vicina a situazioni sociali diverse e più complesse. Ricordava moltissimi nomi di allievi, teneva ordinate per anno tutte le fotografie di classe. Da vecchia esercitava la memoria recitando le poesie che aveva insegnato, ripassando le date di alcuni importanti fatti storici, risolvendo radici quadrate.
Incominciavo a insegnare, scuole private, e lei diceva: ricordati, è nello stato che devi andare, l'insegnante deve essere statale, la scuola è un servizio pubblico.
Lei si è sempre sentita parte di una categoria che contribuiva alla crescita, allo sviluppo del paese. Aveva seguito il percorso di molti suoi alunni: il tale ora è un medico, quello è avvocato, il tal altro si è messo in proprio...In particolare mi enunciava i successi delle donne che aveva avuto bambine nella sua classe. Si capiva che pensava che un po' fosse anche merito suo.
Al suo funerale - è morta a novantatre anni - c'erano uomini e donne sconosciuti, già maturi, con i capelli grigi. I suoi alunni.
Se fosse ancora qui, il 12 me la porterei alla manifestazione con un bel cartello " Giù le mani dalla scuola pubblica!"
Firmate l'appello per la scuola pubblica

domenica 27 febbraio 2011

A come ADOZIONI

Il presidente del consiglio tenta di rassicurare i cattolici, la Chiesa e tutti quelli che hanno cominciato a pensare che  forse lui non è il genere di persona che pensavano fosse ( meglio tardi che mai) e a sentirsi vagamente in imbarazzo per averlo votato. Non sono ottimista e temo che in parte il tentativo riuscirà perchè fa leva su una paura : la paura dell'invasione. Non si tratta dell'invasione degli islamici, o dei rom, o dei cinesi no... quelle sono invasioni temute ma remote, si tratta dell'invasione di campo dei single e dei gay che adottando un bambino potrebbero far famiglia, diventar famiglia essere famiglia.
Ho alcuni amici e amiche ( single, gay ...) che sarebbero, potrei giurarci, meravigliosi padri o madri per un bambino, ricchi di sensibilità, di risorse intellettuali e morali. Incontro spesso due donne, una giovane e una una più anziana, si amano, si vede non solo perchè non temono di mostrare con naturalezza il loro legame ma si vede soprattutto da come si guardano, dai loro semplici gesti, da come camminano e parlano l'una a fianco dell'altra. Insieme a loro qualche volta i figli di una delle due e, da un po' di tempo, un bimbo piccolo, per mano alla donna più anziana o sulle spalle di quella più giovane.
Una domenica, in un paesino al confine con la Francia a un tavolo di una piccola trattoria due uomini, francesi - una coppia - con una bimba vivacissima con la pelle scura. I due uomini parlavano e ridevano, uno dei due ad un certo punto ha tirato fuori da una borsa un biberon e la bimba gli si è accoccolata tra le braccia per mangiare.
Potrei fare un elenco lunghissimo di donne che tirano su i loro figli da sole dopo la rottura di una relazione, di un matrimonio, donne lasciate sole nelle fatiche educative da uomini che non hanno ben interiorizzato la parola responsabilità. E ci sono donne e uomini soli, con un lavoro, un buon equilibrio che potrebbero occuparsi di un bambino. Senza contare che è possibile che questi uomini e queste donne siano inseriti in famiglie allargate, famiglie a maglie larghe con figli di diversi matrimoni, ex mariti, ex mogli, nuovi compagni, fidanzati, padri, madri.
Certo...un sistema a maglie larghe è più difficile da tenere sotto controllo...fa paura perciò si sente la necessità di contrastarlo.

venerdì 25 febbraio 2011

A come ACCOGLIENZA

Accoglienza.
Una parola usata, anche abusata eppure difficile da interpretare.
Il nordAfrica è infuocato, la gente fugge, si prefigura un esodo e l'Europa, l'Italia, in prima battuta, si devono misurare con il tema dell'accoglienza.
Ieri parlavo, insieme ad altri, con una donna coraggiosa della mia città, Genova, un'avvocatessa " di frontiera", Alessandra, che poneva con forza questo tema.
Pochi giorni fa ero ad una riunione del nuovo movimento delle donne e si faceva fatica a conciliare idee diverse sulle priorità: il lavoro, il corpo delle donne...., e sulle forme della protesta: palco sì, palco no, chi va sul palco, la D, la fiaccolata, i palloncini...... si arriverà, magari tra una o due riunioni, a un punto comune...
Però...pensavo ieri, in questa situazione, che bello se fossero le donne a " dettare" i modi e le forme dell'accoglienza: evitare le ghettizzazioni, le concentrazioni, accogliere sull'intero territorio, trovare spazi, disponibilità almeno per le prime emergenze. Più facile a dirsi che a farsi ma...se tutto è sempre più facile a dirsi che a farsi finisce che non si fa mai niente.
Donne avvocato, donne che sanno le lingue, donne nuove cittadine che sanno cosa accade e come si sente chi arriva, donne che si occupano di minori, donne che documentano, donne che scendono in piazza per dire che le donne vogliono esser parte di un paese che, a partire dalla parole accoglienza, sa come fare e fa con umanità. Forse sogno.

domenica 20 febbraio 2011

La foto di apertura

La foto di apertura l'ho scattata in Corsica sulla sponda dello stagno dietro la spiaggia di Santa Giulia. Un'immagine per cominciare a scrivere su questo blog. Sto già pensando che mi verrà " il blocco dello scrittore e non andrò oltre questo inizio".
Del resto nelle poche righe che per ora compongono il mio profilo, nella sezione " i miei blog" ne compare uno intitolato Itinerari, avevo intenzione di dargli una forma nel 2006 e poi è rimasto lì: un blog mai nato. Me n'ero dimenticata.
Adesso però questo " femminile plurale" me lo sento addosso come un vestito fatto su misura, sarà per il libro che sta per uscire, sarà perchè c'è questo nuovo movimento delle donne, il movimento delle sciarpe bianche ed è impossibile stare a guardare, si contribuisce come si può, con quel che si ha e si sa fare.
Io so raccontare.
Nel libro c'è una donna, Nina, che sta per compiere cinquant'anni, ha una famiglia numerosa e complessa, una famiglia allargata, frutto dei suoi tre matrimoni. Quattro figli: Marco, Simone, Viola, Lorenzo più Alice, la figlia del primo matrimonio di suo marito Giacomo. Una famiglia come tante, oggi.
La storia segue Nina per un anno fino al suo compleanno, di mese in mese, Nina vive le sue giornate piene, a volte caotiche, intanto si ripensa e si racconta, cerca di mettere in ordine, di tenere insieme tutti i pezzi della sua vita.
Il titolo del libro nasce da una conversazione tra Giacomo e il piccolo Lorenzo, impegnati in un compito di analisi grammaticale. Lorenzo è dislessico, legge, dimentica, ascolta, confonde ma capisce tutto con grande profondità. Famiglia per lui non è singolare ma plurale come la sua, una famiglia in cui si è in tanti, in cui ci sono figli di altri genitori, una famiglia allargata, aperta a tanti pezzi di famiglie diverse.
Lorenzo è il figlio tardivo, quello che Nina ha con Giacomo, il suo terzo marito, Lorenzo ha reso tutti gli altri figli fratelli fra loro e nella storia ascolta, interpreta, commenta quello che accade nella famiglia.
Famiglia:femminile plurale esce in libreria il 22 febbraio.

Femminile plurale

Femminile plurale. 

Perchè scrivo storie di donne
Perchè sta per uscire un mio libro intitolato FAMIGLIA:FEMMINILE PLURALE 
Perchè in questi giorni c'è nell'aria la voglia di riscoprire il " femminile plurale" ed è un'aria nuova carica di energia e io spero che cominci a circolare, a farsi respirare a pieni polmoni.