Ancora due repliche e si chiude la mia prima ( o unica? chissà?) esperienza come autrice di un testo teatrale.
Il bilancio è positivo. Ho visto lo spettacolo due volte. La sera della prima ero tesa, lo ero per me stessa, lo ero per Carla, l'attrice, per le cantanti, per il regista, ho seguito con una certa ansia, percepivo l'emozione e la tensione sul palcoscenico, percepivo i respiri, i colpetti di tosse in sala. Applausi ( uno anche a scena aperta), pubblico contento. Ci sono tornata, la terza sera e sono riuscita a godermelo.
Fa uno strano effetto " vedere" i propri personaggi, in questo caso si tratta di cinque donne, tutte interpretate da Carla che per ciascuna sceglie un registro diverso.
Nunzia cuce le storie di tutte mentre cuce una trapunta, fatta di tanti quadrati di stoffa, destinata a una bimba. La scenografia è una parete di stoffa, fatta di tante stoffe diverse e di abiti, una parte è un velo sottile oltre il quale c'è il coro delle donne che cantano in diverse lingue e, ciascuna, anche nella lingua delle altre. Cantano anche i trallallero, cantano tutte in genovese e l'autoironia di Yukari, giapponese, che
canta e ride ( perchè il canto e il teatro raccontano la gioia e il dolore, sono catarsi e gioco) è un invito alla speranza come Sofia, la bimba che nella storia una mamma africana "scende" in mare da un barcone regalandole la salvezza e che tante donne diverse culleranno e cresceranno tutte insieme. Perchè la speranza di un mondo diverso per le donne dovrebbe essere "la figlia che cresceremo tutte insieme".