sabato 25 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 24 & 25

Ventiquattro e venticinque agosto. Il mondo gira intorno al piccolo Arturo. La ragazza burattinaia sembra una donna degli altopiani d'Africa, corre leggera con il bimbo sulla schiena, sale e scende di continuo la via San Bartolomeo, attraversa la piazza, più e più volte al giorno.
Il paese aspetta che Arturo cammini, sta quasi per compiere un anno e le sue energie stanno aumentando, urla per chiamare i bambini che giocano in piazza, sembra che dica ehi aspettatemi, vengo anch'io!.
La ragazza che parla con i muri e l'uomo scanner se lo mangiano con gli occhi, inventano scherzi buffi, si vede che fantasticano, che attraverso Arturo sperimentano un desiderio.
Ricordo quando anche per me era così. Ora il mio desiderio ha subito la metamorfosi degli anni senza perdere freschezza, soltanto che, grazie ad Arturo, posso fantasticare su quando sarò nonna.
Un giorno, quando ero al liceo, un mio professore - che era di queste parti, di Perinaldo - ci ha annunciato d'essere diventato nonno per la seconda volta "ragazzi, sappiate che l'amore per il nipote è molto più grande dell'amore per il figlio, perché contiene l'amore per il figlio più l'amore per il nipote". Un amore raddoppiato.
In paese c'è un nonno che ha scritto la storia della famiglia in sei copie, per i figli e per i quattro nipoti e ai suoi nipotini più piccoli racconta la leggenda dei nomi dei paesi della valle. Rinaldo, paladino di Francia, col suo cavallo Baiardo, si trovava su un monte quando gli muore il cavallo, allora lo seppellisce e dice " questo posto si chiamerà Baiardo". Prosegue a piedi e quando si riposa dice qui sono venuto a piedi quindi questo posto si chiamerà PeRinaldo, proseguendo trova un borgo con un castello e tutte le porte chiuse, chiama per farsi aprire, bussa Apricalle! Apricalle! Scendendo si ferma in un posto dove gli danno da mangiare e poiché il luogo sembra un'isola sul fiume sceglie il nome Isolabuona, più giù trova un campo di papaveri e dice questo è Camporosso, arriva al confine con la Francia e guardandosi indietro dice " ho percorso Venti miglia".
La piazza aspetta che Arturo cammini, che scopra il mondo, che nomini i luoghi, le persone, le cose.

venerdì 24 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 22 & 23

Ventidue e ventitre agosto.  Questo post potrebbe essere intitolato Persone. Un amico di Apricale emigrato negli Stati Uniti, da quando è in pensione trascorre sei mesi ad Apricale e sei mesi in una città dell'Indiana che è ormai la città della sua numerosa famiglia. Viene con sua moglie, sistemano la casa dei nonni, lui recupera la memoria del passato, lei migliora l'italiano. Ci propone un doppio aperitivo, appuntamento in piazza alle diciotto, la prima tappa a casa sua, chiacchiere, racconti, vino e stuzzichini, la seconda tappa a casa nostra, stesso format. La sua casa è piena di storia, una casa medievale nella parte più antica del borgo, i mobili dei nonni e dei genitori, le fotografie di tre generazioni. Il suo racconto è pieno dello spirito di un grande paese, con tutte le contraddizioni che conosciamo ma che è diverso vivere ogni giorno, dice di non aver mai perduto l'accento italiano e di essere stato a volte discriminato per questo, dice di aver avuto grandi opportunità anche senza ver studiato, di aver conquistato posti di responsabilità con la qualità del suo lavoro, delle competenze acquisite strada facendo. Mi viene in mente che, quando ero una ragazzina, questo è sempre stato il mito di mia madre, si entra come correttore di bozze e si diventa direttore del giornale, si entra come impiegato e si diventa amministratore delegato, poi ha smesso di dirlo. Raccontiamo del nostro viaggio in Etiopia, i nostri amici sono curiosi, presto avranno due nipotine adottive dal Congo. Qui, ad Apricale, si beve il Rossese o un bianco fruttato che va giù " fino alle unghie dei piedi" dice uno degli ultimi vecchi, seduto in piazza al fresco. A metà del racconto il nostro amico dà lo stop, si parte per la seconda tappa. Ci inerpichiamo fino in cima alla via San Bartolomeo, man mano che si sale le case sono più giovani, il paese si è esteso sulla collina nell'Ottocento e nel primo Novecento, mantenendo il carattere identitario più forte, la pietra. La nostra casa ha molte finestre, è piena di vento, guarda il paese dall'alto, la casa giusta per chi non ha radici qui e può avendo il paese sempre davanti allenarsi a osservare e riconoscerne i lineamenti, chi è nato qui non ha bisogno di guardarlo, lo conosce a memoria, potrebbe disegnarlo con un bastoncino sulla polvere delle antiche mulattiere. Altro giro di vinello, altro spuntino,il racconto continua.Ci rivedremo tar un anno. Cerco personaggi per i dieci partecipanti al laboratorio di Officina Letteraria che stanno per arrivare. Mi siedo vicino al vecchio signore, quasi novanta, sul sedile di pietra della piazza faccio un viaggio nel tempo e nello spazio, quando ad Apricale ci si spostava solo a piedi per andare a lavorare una settimana a Nizza, ci si metteva un giorno, invece quelli di Perinaldo andavano a Marsiglia e ce ne mettevano anche due o tre. Nelle chiese si pregava per propiziare la pioggia, ascolto la storia del nonno garibaldino che non sapeva leggere però era informato perchè sulla piazza il maestro leggeva Il Caffaro ad alta voce. Ascolto la storia di una gioventù che lavorava, che andava a spaccare legna, dopo aver lavorato gli orti, per le sigarette e ogni tanto la casa di tolleranza. Ride, il vecchio signore, ha un cappellino di paglia alla francese, con la mezza visiera, si appoggia al bastone con le due mani e si piega in vanti per ridere pensando a quando comprava una scatola di fiammiferi al giorno per vedere la ragazza che gli piaceva che lavorava nella tabaccheria. Sospira ricordando una fidanzata del tempo di guerra, scuote la testa pensando a quello che non riesce a capire del tempo presente. Guardi, dice, da quando i preti vestono da uomini, hanno cambiato l'ora e hanno tolto le case di tolleranza, non si capisce più niente. Vorrei replicare poi guardo il suo viso segnato dal tempo e lascio perdere però gli dico non è tutto così brutto il tempo d'oggi. Ha ragione, dice, infatti io amo ancora la vita e voglio godermela fino all'ultimo.



mercoledì 22 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 21

Ventuno agosto. Per ragioni che non sto a spiegare, quest'anno il riposo è forzato, non soltanto cercato e scelto come in altre occasioni. E' stata necessaria una scelta drastica: niente auto, niente giri fuori dal paese, niente corse al mare. Una scoperta. Intanto, il silenzio, il tempo per noi stessi e per gli altri, il tempo per la lettura e la scrittura. Mi muovo in un raggio limitato, quindi mi addentro, vado in profondità, miglioro la mia capacità di osservazione. Scendo la via San Bartolomeo, guardo un portone con il battachio a manina, guardo un portone con una vetrata policroma, guardo la porta di una cantina con una breccia per lasciar passare una gatta nera e grigia, guardo in alto una decorazione natalizia dimenticata, penso a Perec e al suo Tentativo di esaurire un luogo parigino. Salgo la via San Bartolomeo e guardo le finestre, una ha una pianta finta di petunie, un'altra ha una zanzariera bianca, una lascia vedere un soffitto affrescato azzurro. Scendo e salgo più vokte al giorno. Penso sempre a Perec. Sarà una fissazione. Ci sono stata davvero una volta nella Place St. Sulpice e ho riconosciuto tutto quello che c'è nel libro. Il libro di Perec che preferisco però è un altro, si intitola Specie di spazi, alla fine Perec dice che non ce la fa a pensare alla campagna perchè in fondo è un'utopia, un'idea, per lui non esiste, il suo habitat è la città. Anch'io la penso così e allora  utilizzando un altro titolo di un famoso libro ( Chatwin) dovrei chiedermi Che ci faccio qui?. Ma, in fondo, Apricale non è proprio campagna, è una minuscola città medievale, lo scenario giusto per un racconto di Calvino. Allora lo so che ci faccio qui. Immagino. Scendo la via San Bartolomeo e immagino, nel mio forzato riposo, un personaggio al confino in un  borgo medievale. Salgo la via San Bartolomeo e immagino una donna amica di un famoso pittore francese. Lo spazio si dilata, ben oltre Apricale.

martedì 21 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 20

Venti agosto. Ho incominciato a leggere un saggio di Duccio Demetrio sul silenzio e la scrittura. Il silenzio è un compagno esigente, talvolta scomodo, per alcuni irritante, per altri necessario.
L'autore ci invita a interrogarci sul nostro rapporto col silenzio, a ricercare nella memoria situazioni e momenti di silenzio e le mostre sensazioni, i nostri sentimenti in quelle situazioni.
Rompete il silenzio ascoltando musica? Io sì, talvolta.
Il silenzio nella mia storia. Mi viene in mente il silenzio di mia madre, in attesa di qualcosa, un silenzio abitato da una preoccupazione che non capivo ma che percepivo come un oggetto ingombrante in una stanza buia. Mi viene in mente il silenzio tra le montagne tante volte, al mattino presto, il silenzio di mio nonno che da un certo punto della sua vecchiaia non ha più parlato, il silenzio nel quale ascoltavo il sonno del mio bambino appena nato, il silenzio che costruivo, un silenzio avvolgente e morbido per accogliere i racconti dei miei bambini arrivati da un altro mondo, il silenzio della fine di un amore, di più di un amore, quando ormai non c'è più nulla da aggiungere nè da togliere, il silenzio di molte notti, in posti diversi, in tempi diversi, il silenzio di cui ho bisogno quando scrivo,il silenzio dell'aula del liceo quando il professore di greco guardava il registro, silenzi pesanti alle manifestazioni, silenzi grevi ai funerali, il silenzio condiviso e il silenzio che divide, silenzi di disapprovazione, di disappunto, di rabbia, di commozione, silenzi disperati, silenzi necessari per godere di una profondità.
Un elenco infinito che si aggiunge ad altri possibili elenchi infiniti, quelli degli altri, i vostri, provate a pensarci.
Quest'afa di agosto opprime ma regala silenzi di angoli in ombra, di pomeriggi a persiane socchiuse, di
notti insonni a guardare le stelle o a leggere un libro sul silenzio.

lunedì 20 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 19

Diciannove agosto. Ad Apricale c'è l'Atelier con gli artisti, c'è una bella vetreria d'arte, per dieci giorni l'anno, in agosto, da più di vent'anni c'è il Teatro della Tosse. Non c'è altro, non ci sono i negozietti di bigiotteria artigiana, di ceramica, non c'è un negozio di abbigliamento, ci sono due Commestibili , non c'è un ferramenta, c'è la farmacia, non c'è una merceria, c'è un tabacchino con la rivendita di giornali dove puoi trovare anche un libro, un paio di calze, un souvenir, c'è un falegname che fabbrica allegre cassette della posta decorate da sua moglie Annalisa. Ad Apricale è d'obbligo l'auto o la moto, dicono,  se  serve qualcosa, se c'è un'emergenza, se si vuole andare un po' in giro l'auto serve.
Noi quest'anno siamo venuti senza auto, ci ha accompagnato un amico e al ritorno prenderemo la corriera e poi il treno. Viviamo liberi da esigenze, compriamo il giornale, compriamo da mangiare lo stretto indispensabile, abbiamo un po' di libri, un e-reader, un portatile e tanta buona musica. Niente televisione, ascoltiamo la radio. Nel paese vicino, se ne abbiamo voglia, andiamo con la corriera. Però la piazza di Apricale ci soddisfa e ci basta.
Gemma mi racconta che nel 1966 aveva sedici anni e lavorava in un laboratorio di maglieria a Camporosso, più di dieci ore al giorno, pagata un tanto al pezzo. Il laboratorio produceva venticinque pezzi al giorno. Una pausa per mangiare un pentolino di minestra della sera prima portato da casa, Andava e tornava con la corriera. Era la più brava, dice una sua amica che allora aveva quattordici anni,  le trecce, le greche, tutti i motivi più difficili li facevano fare a lei. Sì però, dice Gemma, non sono mai riuscita ad arrivare a guadagnare trentamila lire al mese come avrei voluto.
La piazza di Apricale mi soddisfa e mi basta.

domenica 19 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 18

Diciotto agosto. Incomincio la giornata leggendo della condanna delle Pussy Riot, osservo le loro belle facce nella fotografia a colori, la maglietta azzurra con la scritta No PASARAN della più giovane mi intenerisce. Le Pussy Riot hanno l'età dei miei figli, i genitori di una di loro avevano comprato un mazzo di fiori pensando di festeggiare una sentenza favorevole, il padre di un'altra non si dà per vinto, paga gli avvocati, vuole andare avanti, vuol tirar fuori la sua ragazza da quell'inferno, il marito della più giovane deve pensare al loro bambino di quattro anni ma pensa anche alla rivoluzione, dobbiamo farla per cambiare questo paese, non c'è scelta, dice correndo il rischio di esser subito incriminato per dissidenza, chi si occuperebbe del bambino?
Le Pussy Riot hanno l'aria d'esser delle rivoluzionarie per caso, qualcuno lo sostiene in un'analisi, però hanno il contegno di chi, investito dal caso e dal destino, sa reggerne l'urto.
Nella fotografia su Repubblica si vedono ingigantite in primissimo piano le mani di una poliziotta, tenute l'una nell'altra dietro la schiena, posizione di riposo, noto le unghie smaltate di rosso. Riguardo la maglietta della più giovane con la scritta gialla NO PASARAN, chissà se in carcere, ora che è stata condannata, gliela lasceranno o gliela strapperanno con le unghie. Maglietta dissidente.
La mostra nel Castello è il risultato del lavoro della piccola comunità dell'Atelier, non c'è molta gente, gran parte dei turisti e anche dei paesani è già appostata per il fuochi d'artificio di Dolceacqua. C'è tempo, la mostra durerà, subirà delle modificazioni, si aggiungeranno artisti. Non abbiamo fretta.
Alla ragazza che accarezza i muri potrei cambiare nome, potrebbe diventare la ragazza che parla ai muri. Ha raccontato che alla scuola elementare finiva sempre in un banco faccia la muro perché chiacchierava troppo e osservava il muro, le crepe sottili dell'intonaco, le scrostature, le grossolane stuccature sottostanti, tipiche dei muri delle scuole, alla fine ha sviluppato una relazione con i muri che, nel lavoro artistico, è riaffiorata.
Anche il suo compagno è un artista, è un uomo scanner, scannerizza tutto, i polpi, le cicale, le piante, gli ortaggi, i granchi, l'ape. Non gli bastano gli scanner in commercio quindi ne costruisce di nuovi, più grandi, adatti alla sua pratica.
Lei ha esposto i suoi quadri/muro, lui un calamaro gigante.
MURO e CALAMARO. Gianni Rodari ne avrebbe fatto un binomio fantastico. Il calamaro sul muro. Il calamaro nel muro. Il calamaro sotto il muro. Il calamaro dietro il muro. Il muro del calamaro. E così via, tutte storie possibili.
Bisognerebbe scrivere storie per due anni, settecentotrenta binomi fantastici per il bambino della più giovane Pussy Riot.