venerdì 24 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 22 & 23

Ventidue e ventitre agosto.  Questo post potrebbe essere intitolato Persone. Un amico di Apricale emigrato negli Stati Uniti, da quando è in pensione trascorre sei mesi ad Apricale e sei mesi in una città dell'Indiana che è ormai la città della sua numerosa famiglia. Viene con sua moglie, sistemano la casa dei nonni, lui recupera la memoria del passato, lei migliora l'italiano. Ci propone un doppio aperitivo, appuntamento in piazza alle diciotto, la prima tappa a casa sua, chiacchiere, racconti, vino e stuzzichini, la seconda tappa a casa nostra, stesso format. La sua casa è piena di storia, una casa medievale nella parte più antica del borgo, i mobili dei nonni e dei genitori, le fotografie di tre generazioni. Il suo racconto è pieno dello spirito di un grande paese, con tutte le contraddizioni che conosciamo ma che è diverso vivere ogni giorno, dice di non aver mai perduto l'accento italiano e di essere stato a volte discriminato per questo, dice di aver avuto grandi opportunità anche senza ver studiato, di aver conquistato posti di responsabilità con la qualità del suo lavoro, delle competenze acquisite strada facendo. Mi viene in mente che, quando ero una ragazzina, questo è sempre stato il mito di mia madre, si entra come correttore di bozze e si diventa direttore del giornale, si entra come impiegato e si diventa amministratore delegato, poi ha smesso di dirlo. Raccontiamo del nostro viaggio in Etiopia, i nostri amici sono curiosi, presto avranno due nipotine adottive dal Congo. Qui, ad Apricale, si beve il Rossese o un bianco fruttato che va giù " fino alle unghie dei piedi" dice uno degli ultimi vecchi, seduto in piazza al fresco. A metà del racconto il nostro amico dà lo stop, si parte per la seconda tappa. Ci inerpichiamo fino in cima alla via San Bartolomeo, man mano che si sale le case sono più giovani, il paese si è esteso sulla collina nell'Ottocento e nel primo Novecento, mantenendo il carattere identitario più forte, la pietra. La nostra casa ha molte finestre, è piena di vento, guarda il paese dall'alto, la casa giusta per chi non ha radici qui e può avendo il paese sempre davanti allenarsi a osservare e riconoscerne i lineamenti, chi è nato qui non ha bisogno di guardarlo, lo conosce a memoria, potrebbe disegnarlo con un bastoncino sulla polvere delle antiche mulattiere. Altro giro di vinello, altro spuntino,il racconto continua.Ci rivedremo tar un anno. Cerco personaggi per i dieci partecipanti al laboratorio di Officina Letteraria che stanno per arrivare. Mi siedo vicino al vecchio signore, quasi novanta, sul sedile di pietra della piazza faccio un viaggio nel tempo e nello spazio, quando ad Apricale ci si spostava solo a piedi per andare a lavorare una settimana a Nizza, ci si metteva un giorno, invece quelli di Perinaldo andavano a Marsiglia e ce ne mettevano anche due o tre. Nelle chiese si pregava per propiziare la pioggia, ascolto la storia del nonno garibaldino che non sapeva leggere però era informato perchè sulla piazza il maestro leggeva Il Caffaro ad alta voce. Ascolto la storia di una gioventù che lavorava, che andava a spaccare legna, dopo aver lavorato gli orti, per le sigarette e ogni tanto la casa di tolleranza. Ride, il vecchio signore, ha un cappellino di paglia alla francese, con la mezza visiera, si appoggia al bastone con le due mani e si piega in vanti per ridere pensando a quando comprava una scatola di fiammiferi al giorno per vedere la ragazza che gli piaceva che lavorava nella tabaccheria. Sospira ricordando una fidanzata del tempo di guerra, scuote la testa pensando a quello che non riesce a capire del tempo presente. Guardi, dice, da quando i preti vestono da uomini, hanno cambiato l'ora e hanno tolto le case di tolleranza, non si capisce più niente. Vorrei replicare poi guardo il suo viso segnato dal tempo e lascio perdere però gli dico non è tutto così brutto il tempo d'oggi. Ha ragione, dice, infatti io amo ancora la vita e voglio godermela fino all'ultimo.



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