Quindici agosto. Sera di Ferragosto, ultima rappresentazione della Tosse, il Gran Bazar andrà via, gli abitanti del paese riprenderanno la loro piazza, cominceranno a commentare il numero di visitatori, il numero di auto arrivate, il numero di panini venduti, l' attore più bravo, la scenografia che è meglio di tutte le altre ma, forse, quella di dieci anni fa era meglio. Il teatro viene da ventitré anni, ormai fa parte della storia del paese. Appena sarà partito il paese dirà bello, ma che fatica, bravi, meritano il successo, bello ma all'inizio era meglio, bello, quest'anno è stato lo spettacolo migliore di tutti. Si comincia subito ad aspettarlo.
Ferragosto, caldo pomeridiano. Una delle ragazze dell'Accademia, la ragazza scultore, è quasi in partenza, gira per il paese a depositare i suoi ultimi segni, lascia tracce, annoda fili per quando tornerà. Pochi tagli su pietre di fiume per evocare un tempo arcaico, un mosaico di ceramica che, d'improvviso, svela il cuore di una casa, talismani con occhi aperti e facce di luna in regalo alle donne incontrate, porte aperte, un abito da sera anni Settanta, ereditato dalla madre, e una bottiglia per raccontare ancora qualche storia, e occhi lucidi per la storia, se dentro c'è la vita, e per i saluti imminenti.
La ragazza scultore ride pensando di aver abitato con un fantasma, la casa è grande, ha cambiato stanza e ha lasciato il fantasma tranquillo dove voleva stare, c'è posto per tutti, non si può pensare di evocare un tempo arcaico su una pietra di fiume senza credere agli spiriti che si aggirano fra di noi.
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