sabato 18 agosto 2012

DIARIO D'AGOSTO 17

Diciassette agosto. La piazza di Apricale è una terrazza affacciata sul verde, una postazione per osservare il crinale su cui è posato il paese di Perinaldo. Sedendosi sul sedile di pietra formato dal muretto che segna parte del perimetro della piazza, il punto di vista cambia e si rivolge alla gente, agli incontri, ai passaggi. Sedendosi invece ai lati della porta dell'Oratorio di San Bartolomeo, appena sopra la piazza, all'inizio della via San Bartolomeo, si gode di una visuale simile a quella che si ha dal loggione di un teatro. Altrimenti si può salire fino alla parrocchiale, anche lì, sul sagrato, si trova un sedile di pietra e si guarda dall'alto oppure, affrontando un altro pezzo di salita, si può entrare nel giardino del Castello della Lucertola e da lassù guardare la piazza come se la si sorvolasse, mi piace pensare, con una mongolfiera.
Aiuto la ragazza burattinaia ad allestire una mostra nel salone di pietra del castello, l'afa del pomeriggio ci opprime, apriamo le finestre su voli di rondini, sono vicine, forse hanno i nidi tra le pietre antiche del castello.
Un tempo io e la ragazza burattinaia eravamo insegnante e allieva, quando io ero giovane e, pur nel mio ruolo di docente, ero anch'io una ragazza dell'Accademia. Ora siamo due donne, di età diversa, che in un pomeriggio di estate si raccontano pezzi di vita. Mio marito dice, ragionando sulla differenza di età che con il tempo viene percepita diversamente: " Con il tempo la differenza resta costante ma il rapporto tende a uno". Riflessioni di un matematico in un pomeriggio di agosto, un bel titolo per un racconto.
La casa della ragazza burattinaia è sempre piena di gente e di bambini, incontro altre ragazze che hanno studiato all'accademia, scenografe, decoratrici, costumiste. Ora che la ragazza burattinaia vive qui, ogni tanto imboccano la strada a tornanti e poi camminano a piedi, con i bambini sulle spalle per stare insieme qualche giorno, per andare al fiume e camminare lente, vivere lente.
Lentezza, mi viene in mente un bel libro di Kundera. Non tutti amano Kundera, alcuni lo hanno letto, amato e poi abbandonato, io continuo a pensarlo come un autore straordinario. Forse perchè mi piace Bacon, c'è un'affinità tra Bacon e Kundera, hanno in comune una specie di estetica del dolore. Infatti, conservo un articolo che Kundera ha scritto su Bacon, tutti gli anni lo leggo agli studenti nuovi che ne sono sempre molto colpiti.
Una sera senza scendere in piazza, spalanchiamo tutte le finestre e anche la porta, l'aria è ferma, un uccello manda dal buio un verso ripetitivo. Ascoltiamo musica classica. Forse siamo incapaci di reggere a lungo il silenzio rotto solo dal verso inquietante di un uccello?

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