Ventinove e trenta agosto. Alla luna manca un frammento, ci avviciniamo al plenilunio. In queste notti la piazza di Apricale invita alla jam session, le chitarre passano di mano in mano, salta fuori un'armonica, chi ascolta lo fa con tutto il corpo, mi aspetto che qualcuno non resista e si alzi per ballare, forse accadrà per il plenilunio. Giornate noir, il laboratorio di Officina è condotto da Bruno Morchio, anche chi non ama il genere si cimenta e lo fa con onore. Pomeriggi alla Perec, esauriamo il luogo dai nostri punti di osservazione, registriamo i micro avvenimenti: un casco giallo posato su un tavolino, signora in beige che scende in piazza e passa davanti all'oratorio di San Bartolomeo, cane nero al guinzaglio, uomo con la macchina fotografica, l'ape verde della spazzatura, vecchio con cappellino e bastone, bambini che si consultano intorno a una pozzanghera, giovane donna incinta seduta sulla panchina di pietra a lato della porta del Municipio. Esauriamo il luogo per impadronircene e portarlo via ora che siamo quasi alla fine delle ferie. Sere leggermente alcoliche, il bianco della Ciassa è fresco e gradevole, scopriamo che è un moscato portato al termine della fermentazione, informazione che arricchisce la nostra cultura ma non fondamentale. Il bianco va giù che è un piacere, questo basta.
giovedì 30 agosto 2012
mercoledì 29 agosto 2012
DIARIO D'AGOSTO 27 & 28
Ventisette e Ventotto agosto. Arrivati. Sono dieci, sono i corsisti di Officina Letteraria. Sono in paese da due giorni e già il paese ne parla. Ognuno di loro è stato abbinato a un apricalese che lo aiuti a entrare nella storia, nello spirito del luogo, che lo avvicini ad una esperienza di vita. Si incontrano al bar della Ciassa e parlano davanti a un caffè o a un bicchiere di bianco, vanno in visita in casa e parlano servendosi di un biscotto e un dito di liquore, sfogliano album di fotografie, scoprono orti e serre, frasi incise nella pietra, soprattutto ascoltano storie.
Claudia e io, da oggi anche Bruno. La biblioteca è la nostra officina ad Apricale, leggiamo, smontiamo testi, scriviamo, fantastichiamo e ci misuriamo con una disciplina che, giorno dopo giorno, ci porterà a un racconto, una storia nata qui.
Come nascono le storie? Al tavolino vicino a noi una coppia di tedeschi legge, studia, osserva il paesaggio in silenzio, lui è magro e gentile, lei sorride ma spesso è assorta ed è androgina, elegante, bella. Ci sembra che scriva parole e note su un foglio e canticchi tra sé, sarà una cantante, pensiamo, lui forse il suo impresario. fidanzati o amanti. Lei si gira e sorride, ci saluta, si accorge che la osserviamo. Claudia le scatta una foto. La sera nell'Atelier si canta il blues, la ragazza che parla con i muri e l'uomo scanner si trasformano in un duo affiatato e raffinato, la chitarra passa di mano in mano, un ragazzo suona musica calda del sud, una giovane studiosa polacca canta con accento calabrese e poi in perfetto francese, cantiamo tutti De Andrè, lui ci accompagnerà sempre. Renato, che non è uno scrittore e preferisce la realtà all'immaginazione, attacca discorso con i due tedeschi, fa amicizia e il romanzo finisce: sono due graphic designer di Berlino, lui è anche chitarrista e si sforza di parlare italiano. Non so come sia accaduto ma, ad un certo punto, cantiamo tutti insieme e cantiamo l' Internazionale. I due tedeschi cantano a squarciagola, qualcuno canta con il pugno alzato. Serata blues ad Apricale.
Claudia e io, da oggi anche Bruno. La biblioteca è la nostra officina ad Apricale, leggiamo, smontiamo testi, scriviamo, fantastichiamo e ci misuriamo con una disciplina che, giorno dopo giorno, ci porterà a un racconto, una storia nata qui.
Come nascono le storie? Al tavolino vicino a noi una coppia di tedeschi legge, studia, osserva il paesaggio in silenzio, lui è magro e gentile, lei sorride ma spesso è assorta ed è androgina, elegante, bella. Ci sembra che scriva parole e note su un foglio e canticchi tra sé, sarà una cantante, pensiamo, lui forse il suo impresario. fidanzati o amanti. Lei si gira e sorride, ci saluta, si accorge che la osserviamo. Claudia le scatta una foto. La sera nell'Atelier si canta il blues, la ragazza che parla con i muri e l'uomo scanner si trasformano in un duo affiatato e raffinato, la chitarra passa di mano in mano, un ragazzo suona musica calda del sud, una giovane studiosa polacca canta con accento calabrese e poi in perfetto francese, cantiamo tutti De Andrè, lui ci accompagnerà sempre. Renato, che non è uno scrittore e preferisce la realtà all'immaginazione, attacca discorso con i due tedeschi, fa amicizia e il romanzo finisce: sono due graphic designer di Berlino, lui è anche chitarrista e si sforza di parlare italiano. Non so come sia accaduto ma, ad un certo punto, cantiamo tutti insieme e cantiamo l' Internazionale. I due tedeschi cantano a squarciagola, qualcuno canta con il pugno alzato. Serata blues ad Apricale.
lunedì 27 agosto 2012
DIARIO D'AGOSTO 26
Ventisei agosto. Il temporale ha rinfrescato, la pioggia ha lavato il paesaggio, ci crogioliamo al sole in piazza finalmente senza il bisogno di ombra. La signora Rita che ha settantuno anni e tutte le mattine va " a fare la campagna" con un abito azzurro di cotone e il cavagno sulla testa, ha potuto prendersi un giorno di vacanza, anche se, dice, la pioggia non è stata sufficiente nemmeno per scendere sotto le foglie delle piante. Di solito la vedo dalla mia finestra, parte poco dopo i rintocchi delle sette, imbocca il sentiero segnato e poi comincia salire tra le fasce seguendo una mulattiera scomparsa ma che lei conosce, fin da bambina.Sale con lentezza, addolcisce la salita disegnando molte curve, una mano sul fianco.La vedo scomparire in una macchia di ulivi e poi scorgo l'azzurro del vestito più su, si ferma dov'è una casa in pietra, lavora e dopo mezz'ora riparte, si inerpica fino a un'altra casa in direzione di una cisterna. Quando il sole comincia a bruciare lei è già in piazza, davanti alla porta della chiesa, con le braccia conserte. " La vedo, lo sa? La vedo dalla finestra, tutte le mattine" " Ah si?Meno male che qualcuno mi guarda, sono sempre sola, ora mi sento un po' meno sola se qualcuno mi controlla". Le prometto che la saluterò sventolando un tovagliolo come faceva mia nonna quando ero bambina e andavamo in montagna, passavamo col treno davanti a casa sua a Sestri Ponente e lei era là, salutava con un tovagliolo bianco. Io ero contenta.
sabato 25 agosto 2012
DIARIO D'AGOSTO 24 & 25
Ventiquattro e venticinque agosto. Il mondo gira intorno al piccolo Arturo. La ragazza burattinaia sembra una donna degli altopiani d'Africa, corre leggera con il bimbo sulla schiena, sale e scende di continuo la via San Bartolomeo, attraversa la piazza, più e più volte al giorno.
Il paese aspetta che Arturo cammini, sta quasi per compiere un anno e le sue energie stanno aumentando, urla per chiamare i bambini che giocano in piazza, sembra che dica ehi aspettatemi, vengo anch'io!.
La ragazza che parla con i muri e l'uomo scanner se lo mangiano con gli occhi, inventano scherzi buffi, si vede che fantasticano, che attraverso Arturo sperimentano un desiderio.
Ricordo quando anche per me era così. Ora il mio desiderio ha subito la metamorfosi degli anni senza perdere freschezza, soltanto che, grazie ad Arturo, posso fantasticare su quando sarò nonna.
Un giorno, quando ero al liceo, un mio professore - che era di queste parti, di Perinaldo - ci ha annunciato d'essere diventato nonno per la seconda volta "ragazzi, sappiate che l'amore per il nipote è molto più grande dell'amore per il figlio, perché contiene l'amore per il figlio più l'amore per il nipote". Un amore raddoppiato.
In paese c'è un nonno che ha scritto la storia della famiglia in sei copie, per i figli e per i quattro nipoti e ai suoi nipotini più piccoli racconta la leggenda dei nomi dei paesi della valle. Rinaldo, paladino di Francia, col suo cavallo Baiardo, si trovava su un monte quando gli muore il cavallo, allora lo seppellisce e dice " questo posto si chiamerà Baiardo". Prosegue a piedi e quando si riposa dice qui sono venuto a piedi quindi questo posto si chiamerà PeRinaldo, proseguendo trova un borgo con un castello e tutte le porte chiuse, chiama per farsi aprire, bussa Apricalle! Apricalle! Scendendo si ferma in un posto dove gli danno da mangiare e poiché il luogo sembra un'isola sul fiume sceglie il nome Isolabuona, più giù trova un campo di papaveri e dice questo è Camporosso, arriva al confine con la Francia e guardandosi indietro dice " ho percorso Venti miglia".
La piazza aspetta che Arturo cammini, che scopra il mondo, che nomini i luoghi, le persone, le cose.
Il paese aspetta che Arturo cammini, sta quasi per compiere un anno e le sue energie stanno aumentando, urla per chiamare i bambini che giocano in piazza, sembra che dica ehi aspettatemi, vengo anch'io!.
La ragazza che parla con i muri e l'uomo scanner se lo mangiano con gli occhi, inventano scherzi buffi, si vede che fantasticano, che attraverso Arturo sperimentano un desiderio.
Ricordo quando anche per me era così. Ora il mio desiderio ha subito la metamorfosi degli anni senza perdere freschezza, soltanto che, grazie ad Arturo, posso fantasticare su quando sarò nonna.
Un giorno, quando ero al liceo, un mio professore - che era di queste parti, di Perinaldo - ci ha annunciato d'essere diventato nonno per la seconda volta "ragazzi, sappiate che l'amore per il nipote è molto più grande dell'amore per il figlio, perché contiene l'amore per il figlio più l'amore per il nipote". Un amore raddoppiato.
In paese c'è un nonno che ha scritto la storia della famiglia in sei copie, per i figli e per i quattro nipoti e ai suoi nipotini più piccoli racconta la leggenda dei nomi dei paesi della valle. Rinaldo, paladino di Francia, col suo cavallo Baiardo, si trovava su un monte quando gli muore il cavallo, allora lo seppellisce e dice " questo posto si chiamerà Baiardo". Prosegue a piedi e quando si riposa dice qui sono venuto a piedi quindi questo posto si chiamerà PeRinaldo, proseguendo trova un borgo con un castello e tutte le porte chiuse, chiama per farsi aprire, bussa Apricalle! Apricalle! Scendendo si ferma in un posto dove gli danno da mangiare e poiché il luogo sembra un'isola sul fiume sceglie il nome Isolabuona, più giù trova un campo di papaveri e dice questo è Camporosso, arriva al confine con la Francia e guardandosi indietro dice " ho percorso Venti miglia".
La piazza aspetta che Arturo cammini, che scopra il mondo, che nomini i luoghi, le persone, le cose.
venerdì 24 agosto 2012
DIARIO D'AGOSTO 22 & 23
Ventidue e ventitre agosto. Questo post potrebbe essere intitolato Persone. Un amico di Apricale emigrato negli Stati Uniti, da quando è in pensione trascorre sei mesi ad Apricale e sei mesi in una città dell'Indiana che è ormai la città della sua numerosa famiglia. Viene con sua moglie, sistemano la casa dei nonni, lui recupera la memoria del passato, lei migliora l'italiano. Ci propone un doppio aperitivo, appuntamento in piazza alle diciotto, la prima tappa a casa sua, chiacchiere, racconti, vino e stuzzichini, la seconda tappa a casa nostra, stesso format. La sua casa è piena di storia, una casa medievale nella parte più antica del borgo, i mobili dei nonni e dei genitori, le fotografie di tre generazioni. Il suo racconto è pieno dello spirito di un grande paese, con tutte le contraddizioni che conosciamo ma che è diverso vivere ogni giorno, dice di non aver mai perduto l'accento italiano e di essere stato a volte discriminato per questo, dice di aver avuto grandi opportunità anche senza ver studiato, di aver conquistato posti di responsabilità con la qualità del suo lavoro, delle competenze acquisite strada facendo. Mi viene in mente che, quando ero una ragazzina, questo è sempre stato il mito di mia madre, si entra come correttore di bozze e si diventa direttore del giornale, si entra come impiegato e si diventa amministratore delegato, poi ha smesso di dirlo. Raccontiamo del nostro viaggio in Etiopia, i nostri amici sono curiosi, presto avranno due nipotine adottive dal Congo. Qui, ad Apricale, si beve il Rossese o un bianco fruttato che va giù " fino alle unghie dei piedi" dice uno degli ultimi vecchi, seduto in piazza al fresco. A metà del racconto il nostro amico dà lo stop, si parte per la seconda tappa. Ci inerpichiamo fino in cima alla via San Bartolomeo, man mano che si sale le case sono più giovani, il paese si è esteso sulla collina nell'Ottocento e nel primo Novecento, mantenendo il carattere identitario più forte, la pietra. La nostra casa ha molte finestre, è piena di vento, guarda il paese dall'alto, la casa giusta per chi non ha radici qui e può avendo il paese sempre davanti allenarsi a osservare e riconoscerne i lineamenti, chi è nato qui non ha bisogno di guardarlo, lo conosce a memoria, potrebbe disegnarlo con un bastoncino sulla polvere delle antiche mulattiere. Altro giro di vinello, altro spuntino,il racconto continua.Ci rivedremo tar un anno. Cerco personaggi per i dieci partecipanti al laboratorio di Officina Letteraria che stanno per arrivare. Mi siedo vicino al vecchio signore, quasi novanta, sul sedile di pietra della piazza faccio un viaggio nel tempo e nello spazio, quando ad Apricale ci si spostava solo a piedi per andare a lavorare una settimana a Nizza, ci si metteva un giorno, invece quelli di Perinaldo andavano a Marsiglia e ce ne mettevano anche due o tre. Nelle chiese si pregava per propiziare la pioggia, ascolto la storia del nonno garibaldino che non sapeva leggere però era informato perchè sulla piazza il maestro leggeva Il Caffaro ad alta voce. Ascolto la storia di una gioventù che lavorava, che andava a spaccare legna, dopo aver lavorato gli orti, per le sigarette e ogni tanto la casa di tolleranza. Ride, il vecchio signore, ha un cappellino di paglia alla francese, con la mezza visiera, si appoggia al bastone con le due mani e si piega in vanti per ridere pensando a quando comprava una scatola di fiammiferi al giorno per vedere la ragazza che gli piaceva che lavorava nella tabaccheria. Sospira ricordando una fidanzata del tempo di guerra, scuote la testa pensando a quello che non riesce a capire del tempo presente. Guardi, dice, da quando i preti vestono da uomini, hanno cambiato l'ora e hanno tolto le case di tolleranza, non si capisce più niente. Vorrei replicare poi guardo il suo viso segnato dal tempo e lascio perdere però gli dico non è tutto così brutto il tempo d'oggi. Ha ragione, dice, infatti io amo ancora la vita e voglio godermela fino all'ultimo.
mercoledì 22 agosto 2012
DIARIO D'AGOSTO 21
Ventuno agosto. Per ragioni che non sto a spiegare, quest'anno il riposo è forzato, non soltanto cercato e scelto come in altre occasioni. E' stata necessaria una scelta drastica: niente auto, niente giri fuori dal paese, niente corse al mare. Una scoperta. Intanto, il silenzio, il tempo per noi stessi e per gli altri, il tempo per la lettura e la scrittura. Mi muovo in un raggio limitato, quindi mi addentro, vado in profondità, miglioro la mia capacità di osservazione. Scendo la via San Bartolomeo, guardo un portone con il battachio a manina, guardo un portone con una vetrata policroma, guardo la porta di una cantina con una breccia per lasciar passare una gatta nera e grigia, guardo in alto una decorazione natalizia dimenticata, penso a Perec e al suo Tentativo di esaurire un luogo parigino. Salgo la via San Bartolomeo e guardo le finestre, una ha una pianta finta di petunie, un'altra ha una zanzariera bianca, una lascia vedere un soffitto affrescato azzurro. Scendo e salgo più vokte al giorno. Penso sempre a Perec. Sarà una fissazione. Ci sono stata davvero una volta nella Place St. Sulpice e ho riconosciuto tutto quello che c'è nel libro. Il libro di Perec che preferisco però è un altro, si intitola Specie di spazi, alla fine Perec dice che non ce la fa a pensare alla campagna perchè in fondo è un'utopia, un'idea, per lui non esiste, il suo habitat è la città. Anch'io la penso così e allora utilizzando un altro titolo di un famoso libro ( Chatwin) dovrei chiedermi Che ci faccio qui?. Ma, in fondo, Apricale non è proprio campagna, è una minuscola città medievale, lo scenario giusto per un racconto di Calvino. Allora lo so che ci faccio qui. Immagino. Scendo la via San Bartolomeo e immagino, nel mio forzato riposo, un personaggio al confino in un borgo medievale. Salgo la via San Bartolomeo e immagino una donna amica di un famoso pittore francese. Lo spazio si dilata, ben oltre Apricale.
martedì 21 agosto 2012
DIARIO D'AGOSTO 20
Venti agosto. Ho incominciato a leggere un saggio di Duccio Demetrio sul silenzio e la scrittura. Il silenzio è un compagno esigente, talvolta scomodo, per alcuni irritante, per altri necessario.
L'autore ci invita a interrogarci sul nostro rapporto col silenzio, a ricercare nella memoria situazioni e momenti di silenzio e le mostre sensazioni, i nostri sentimenti in quelle situazioni.
Rompete il silenzio ascoltando musica? Io sì, talvolta.
Il silenzio nella mia storia. Mi viene in mente il silenzio di mia madre, in attesa di qualcosa, un silenzio abitato da una preoccupazione che non capivo ma che percepivo come un oggetto ingombrante in una stanza buia. Mi viene in mente il silenzio tra le montagne tante volte, al mattino presto, il silenzio di mio nonno che da un certo punto della sua vecchiaia non ha più parlato, il silenzio nel quale ascoltavo il sonno del mio bambino appena nato, il silenzio che costruivo, un silenzio avvolgente e morbido per accogliere i racconti dei miei bambini arrivati da un altro mondo, il silenzio della fine di un amore, di più di un amore, quando ormai non c'è più nulla da aggiungere nè da togliere, il silenzio di molte notti, in posti diversi, in tempi diversi, il silenzio di cui ho bisogno quando scrivo,il silenzio dell'aula del liceo quando il professore di greco guardava il registro, silenzi pesanti alle manifestazioni, silenzi grevi ai funerali, il silenzio condiviso e il silenzio che divide, silenzi di disapprovazione, di disappunto, di rabbia, di commozione, silenzi disperati, silenzi necessari per godere di una profondità.
Un elenco infinito che si aggiunge ad altri possibili elenchi infiniti, quelli degli altri, i vostri, provate a pensarci.
Quest'afa di agosto opprime ma regala silenzi di angoli in ombra, di pomeriggi a persiane socchiuse, di
notti insonni a guardare le stelle o a leggere un libro sul silenzio.
L'autore ci invita a interrogarci sul nostro rapporto col silenzio, a ricercare nella memoria situazioni e momenti di silenzio e le mostre sensazioni, i nostri sentimenti in quelle situazioni.
Rompete il silenzio ascoltando musica? Io sì, talvolta.
Il silenzio nella mia storia. Mi viene in mente il silenzio di mia madre, in attesa di qualcosa, un silenzio abitato da una preoccupazione che non capivo ma che percepivo come un oggetto ingombrante in una stanza buia. Mi viene in mente il silenzio tra le montagne tante volte, al mattino presto, il silenzio di mio nonno che da un certo punto della sua vecchiaia non ha più parlato, il silenzio nel quale ascoltavo il sonno del mio bambino appena nato, il silenzio che costruivo, un silenzio avvolgente e morbido per accogliere i racconti dei miei bambini arrivati da un altro mondo, il silenzio della fine di un amore, di più di un amore, quando ormai non c'è più nulla da aggiungere nè da togliere, il silenzio di molte notti, in posti diversi, in tempi diversi, il silenzio di cui ho bisogno quando scrivo,il silenzio dell'aula del liceo quando il professore di greco guardava il registro, silenzi pesanti alle manifestazioni, silenzi grevi ai funerali, il silenzio condiviso e il silenzio che divide, silenzi di disapprovazione, di disappunto, di rabbia, di commozione, silenzi disperati, silenzi necessari per godere di una profondità.
Un elenco infinito che si aggiunge ad altri possibili elenchi infiniti, quelli degli altri, i vostri, provate a pensarci.
Quest'afa di agosto opprime ma regala silenzi di angoli in ombra, di pomeriggi a persiane socchiuse, di
notti insonni a guardare le stelle o a leggere un libro sul silenzio.
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