uno e due agosto
Uno e due perchè ieri non mi ero accorta che fosse il primo agosto, così è come se agosto fosse cominciato oggi.
Di notevole c'è che ho quasi deciso di considerarmi in ferie. Quindi, per solennizzare la decisione, oggi ho fatto giardinaggio e ho dichiarato guerra alla mosca bianca che quest'anno prosciuga le mie piante.
Viva la chimica ! Dopo aver provato i getti d'acqua, il sapone di marsiglia, la spazzolatura delle foglie, mi sono arresa e ho comprato un prodotto chimico che si sta dimostrando parzialmente efficace. Meglio di niente.
Poi ci sono le zanzare. La sera il mio giardino sembra un camposanto per il numero di candele citronelle accese, ho comprato anche una rigogliosa pianta di erba luisa, che sembra tenga lontane le zanzare, i gerani antizanzare e...un prodotto chimico. Efficace, al di sopra delle mie aspettative.
Mi dispiace, la mia attenzione per l'ambiente in questo caso presenta una vistosa falla, ho la compostiera, faccio la differenziata, uso detersivi biologici, faccio parte di un gruppo di acquisto, ho perfino comprato la biancheria di cotone rigenerato però mi rifiuto di essere ostaggio delle zanzare. I miei nipoti, quelli a cui lascerò un mondo migliore grazie al mio attuale stile di vita, penso mi perdoneranno.
Di notevole c'è anche che sono andata all'ufficio dell'Enel e ho fatto meno di cinque minuti di coda. Eravamo in tre ma non abbiamo fatto in tempo a conoscerci come di solito accade in queste situazioni. Mi ero portata da leggere e non ho potuto nemmeno cominciare, però ero contenta lo stesso perchè mi ero portata l'e-reader e non mi pesava nella borsa così non ho pensato " mi sono pure trascinata questo libro e non l'ho aperto". Uno dei vantaggi del digitale.
Di notevole c'è che in via Garibaldi un uomo anziano suonava il sax e io avevo voglia di mettermi a ballare. Ma la vita non è un musical, domani andrò all'assemblea dei lavoratori dell'Accademia, se ci diranno che ci pagano finalmente lo stipendio di giugno mi metterò a ballare all'assemblea.
giovedì 2 agosto 2012
giovedì 14 giugno 2012
VINI FRUTTATI
La scuola è finita. Incomincia l'estate. Per me funziona così da sempre, sono stata allieva e poi insegnante, per me l'anno non è solare ma accademico, non ho mai smesso di avere un diario, piuttosto che un'agenda, da settembre a giugno. Pochi giorni fa ho visto un avviso in cartoleria " sono arrivate le agende accademiche".
Terminano le lezioni, non il lavoro, sessioni di esami, collegi dei docenti, programmazione. L'estate è scandita dalla preparazione dei corsi per il prossimo anno accademico, ricerche di testi e di immagini, appunti, riflessioni. Studiare sapendo di farlo anche per gli altri è un privilegio.
Che anno è stato? Mi piace pensarci, fare un bilancio, chiedermi se è passato quello che ho voluto trasmettere, interrogarmi sulla qualità del mio contributo didattico. Mi piace anche pensare a chi ho avuto davanti, ai giovani, e meno giovani, che ho incontrato. Gli studenti sono come il vino, vanno ad annate. Queste ultime sono annate di vini leggeri, a bassa gradazione, leggermente fruttati.
Studenti in generale educati e tranquilli, seri, non sempre curiosi quanto dovrebbero, non sognatori quanto potrebbero e sarebbe giusto ( ma questo non per loro responsabilità) però creativi, ironici e spesso con qualche inaspettata passione o competenza.
Perciò anche da annate leggere imparo sempre anch'io. Quest'anno incomincio l'estate sapendo qualcosa di più sui serpenti e i ratti d'allevamento, sui giochi di ruolo, sul pollo cucinato nella Coca Cola, sulla dislessia, sulla Cina, sulle barche storiche, su una malattia che ora non vi sto a raccontare, su almeno due libri che non avevo mai letto, su almeno due film che non avevo mai visto, sui tatuaggi, sulla musica ma in questo campo sono ancora molto indietro, spero di far meglio il prossimo anno.
Questo capita, con i vini fruttati.
Terminano le lezioni, non il lavoro, sessioni di esami, collegi dei docenti, programmazione. L'estate è scandita dalla preparazione dei corsi per il prossimo anno accademico, ricerche di testi e di immagini, appunti, riflessioni. Studiare sapendo di farlo anche per gli altri è un privilegio.
Che anno è stato? Mi piace pensarci, fare un bilancio, chiedermi se è passato quello che ho voluto trasmettere, interrogarmi sulla qualità del mio contributo didattico. Mi piace anche pensare a chi ho avuto davanti, ai giovani, e meno giovani, che ho incontrato. Gli studenti sono come il vino, vanno ad annate. Queste ultime sono annate di vini leggeri, a bassa gradazione, leggermente fruttati.
Studenti in generale educati e tranquilli, seri, non sempre curiosi quanto dovrebbero, non sognatori quanto potrebbero e sarebbe giusto ( ma questo non per loro responsabilità) però creativi, ironici e spesso con qualche inaspettata passione o competenza.
Perciò anche da annate leggere imparo sempre anch'io. Quest'anno incomincio l'estate sapendo qualcosa di più sui serpenti e i ratti d'allevamento, sui giochi di ruolo, sul pollo cucinato nella Coca Cola, sulla dislessia, sulla Cina, sulle barche storiche, su una malattia che ora non vi sto a raccontare, su almeno due libri che non avevo mai letto, su almeno due film che non avevo mai visto, sui tatuaggi, sulla musica ma in questo campo sono ancora molto indietro, spero di far meglio il prossimo anno.
Questo capita, con i vini fruttati.
giovedì 7 giugno 2012
VUOTO E PIENO
Poche ore fa ero insieme a tante altre persone a salutare un'amica, sorella di un'amica per me importante.
Ero ferma in un punto, sotto le volte a crociera della galleria di un cimitero, avevo già abbracciato la mia amica, la guardavo da lontano, guardavo la fila di persone che aspettavano di sfiorarla, di regalarle una parola, io non dico mai niente in queste situazioni, ripasso mentalmente quello che vorrei dire poi, quando sono di fronte al dolore, le parole si svuotano come i pensieri e regalo il mio vuoto, il vuoto che si è creato dentro di me casomai fosse possibile accogliere un po' di quel dolore, sollevare chi lo sta portando, invece no, non è mai possibile.
Ho trovato una posizione, i piedi a terra, la borsa pesante di libri su una spalla, monitoravo peso e pesi, forza di gravità e pressione, sentire d'esserci nonostante quel vuoto dentro.
A un certo punto la mia attenzione ha cominciato a essere catturata da dettagli insignificanti, irritanti, persino ridicoli: il marmo di gradini e colonne sporco e grigio, senza più nemmeno il ricordo del bianco. i fiori di plastica a mazzetti appesi ai loculi, l'unghia smaltata di un alluce che sporgeva da un sandalo di una donna a pochi passi da me, un bidone di plastica nera vuoto che tutti spostavano per passare e nessuno rimetteva a posto, ormai era distante almeno tre metri da dove era in origine. Dovrebbero proibirli, i fiori di plastica.
I particolari irritanti sono come il peso, sono la forza di gravità che, in certi momenti, ci permette di ancorarci alla vita.
Poi ho visto i bambini, gli alunni della scuola sono arrivati in fila, ciascuno con una rosa bianca in mano, le maestre, le mamme, i papà erano di lato, sembravano dicessero non spaventatevi, siamo qui. Ma loro ce l'hanno fatta, hanno salutato, hanno posato la loro rosa, si sono guardati intorno, solo uno è scoppiato a piangere, ed era il più grande e grosso, com'è giusto, come sempre nella vita. E una bambina osservava tutto compunta, con gli occhi a spillo. Secondo me anche lei si riempiva lo sguardo di dettagli irritanti così non le veniva da piangere ma solo una specie di rabbia.
Quando sono uscita ho riacceso il cellulare, c'era il messaggio di un amica, una piccola foto di un bimbo, il suo nipotino, nato pochi minuti prima. Il vuoto si è colmato e ho visto da lontano una bimba esile che correva via con la rosa bianca in mano, forse aveva dimenticato di posarla o non aveva voluto perderla, almeno la rosa. per non rimanere a mani vuote.
Poche ore fa ero insieme a tante altre persone a salutare un'amica, sorella di un'amica per me importante.
Ero ferma in un punto, sotto le volte a crociera della galleria di un cimitero, avevo già abbracciato la mia amica, la guardavo da lontano, guardavo la fila di persone che aspettavano di sfiorarla, di regalarle una parola, io non dico mai niente in queste situazioni, ripasso mentalmente quello che vorrei dire poi, quando sono di fronte al dolore, le parole si svuotano come i pensieri e regalo il mio vuoto, il vuoto che si è creato dentro di me casomai fosse possibile accogliere un po' di quel dolore, sollevare chi lo sta portando, invece no, non è mai possibile.
Ho trovato una posizione, i piedi a terra, la borsa pesante di libri su una spalla, monitoravo peso e pesi, forza di gravità e pressione, sentire d'esserci nonostante quel vuoto dentro.
A un certo punto la mia attenzione ha cominciato a essere catturata da dettagli insignificanti, irritanti, persino ridicoli: il marmo di gradini e colonne sporco e grigio, senza più nemmeno il ricordo del bianco. i fiori di plastica a mazzetti appesi ai loculi, l'unghia smaltata di un alluce che sporgeva da un sandalo di una donna a pochi passi da me, un bidone di plastica nera vuoto che tutti spostavano per passare e nessuno rimetteva a posto, ormai era distante almeno tre metri da dove era in origine. Dovrebbero proibirli, i fiori di plastica.
I particolari irritanti sono come il peso, sono la forza di gravità che, in certi momenti, ci permette di ancorarci alla vita.
Poi ho visto i bambini, gli alunni della scuola sono arrivati in fila, ciascuno con una rosa bianca in mano, le maestre, le mamme, i papà erano di lato, sembravano dicessero non spaventatevi, siamo qui. Ma loro ce l'hanno fatta, hanno salutato, hanno posato la loro rosa, si sono guardati intorno, solo uno è scoppiato a piangere, ed era il più grande e grosso, com'è giusto, come sempre nella vita. E una bambina osservava tutto compunta, con gli occhi a spillo. Secondo me anche lei si riempiva lo sguardo di dettagli irritanti così non le veniva da piangere ma solo una specie di rabbia.
Quando sono uscita ho riacceso il cellulare, c'era il messaggio di un amica, una piccola foto di un bimbo, il suo nipotino, nato pochi minuti prima. Il vuoto si è colmato e ho visto da lontano una bimba esile che correva via con la rosa bianca in mano, forse aveva dimenticato di posarla o non aveva voluto perderla, almeno la rosa. per non rimanere a mani vuote.
domenica 20 maggio 2012
ABBIAMO SMESSO DI RACCONTARE?
Ero in piazza giovedì scorso, il giorno della manifestazione contro il terrorismo.
Ero in piazza ieri per le inutili e impotenti parole e poi per offrire un minuto intenso di silenzio alle ragazze di Brindisi.
Ero in piazza con molti vecchi giovedì, io che ho più di cinquant'anni mi sentivo una ragazza e, in effetti, l'attentato ad Adinolfi ha evocato dentro di me l'angoscia e la rabbia della ragazza che ero durante la stagione del terrorismo. Non ho dimenticato lo sguardo di una compagna che aveva perso il padre in un attentato, non ho dimenticato i racconti di mio padre giornalista, cronista di giudiziaria, ben consapevole della responsabilità degli organi di informazione, non ho dimenticato la mattina in cui a scuola è arrivata la notizia del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Giovedì mi dispiaceva sentirmi una ragazza, si percepiva l'assenza dei giovani. Troppo pochi quelli presenti.
Ieri i giovani c'erano, certo, l'attentato di Brindisi è stato uno scossone alle loro sicurezze, ha attraversato le loro menti e li ha spinti in piazza. Li ho visti già per strada, sui motorini, da soli, a piccoli gruppi, chi c'era fin dall'inizio, chi è arrivato quasi alla fine ma è arrivato.
Li ho guardati e mi dispiaceva lo stesso, mi dispiaceva che un terremoto li avesse cacciati fuori.
Pensavo a quanto sia difficile raccontare. Pensavo: abbiamo raccontato abbastanza a questi ragazzi di quel tempo che pensavamo consegnato al passato? Abbiamo raccontato le nostre paure, le immagini mai cancellate, abbiamo consegnato con le nostre parole la memoria di una stagione? Abbiamo raccontato l'orrore davanti a immagini televisive quando ancora non avevamo a disposizione tutte le informazioni in tempo reale e la notizia ci arrivava lenta come un'onda che poi si abbatteva con uno schianto? Abbiamo raccontato che non c'erano talk show cui assistere perciò eravamo noi a parlarne insieme agli altri, a scuola, nei luoghi di lavoro, nei negozi, per strada e pian piano alimentavamo la nostra coscienza insieme all'angoscia?La coscienza si irrobustiva e reggeva l'angoscia.
Ieri ho pensato che ai giovani giunti in piazza era disponibile solo l'angoscia e ho pensato che dobbiamo tutti, riprendere a raccontare il frammento che abbiamo vissuto e che insieme al frammento degli altri compone un pezzo di storia.
Ero in piazza ieri per le inutili e impotenti parole e poi per offrire un minuto intenso di silenzio alle ragazze di Brindisi.
Ero in piazza con molti vecchi giovedì, io che ho più di cinquant'anni mi sentivo una ragazza e, in effetti, l'attentato ad Adinolfi ha evocato dentro di me l'angoscia e la rabbia della ragazza che ero durante la stagione del terrorismo. Non ho dimenticato lo sguardo di una compagna che aveva perso il padre in un attentato, non ho dimenticato i racconti di mio padre giornalista, cronista di giudiziaria, ben consapevole della responsabilità degli organi di informazione, non ho dimenticato la mattina in cui a scuola è arrivata la notizia del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Giovedì mi dispiaceva sentirmi una ragazza, si percepiva l'assenza dei giovani. Troppo pochi quelli presenti.
Ieri i giovani c'erano, certo, l'attentato di Brindisi è stato uno scossone alle loro sicurezze, ha attraversato le loro menti e li ha spinti in piazza. Li ho visti già per strada, sui motorini, da soli, a piccoli gruppi, chi c'era fin dall'inizio, chi è arrivato quasi alla fine ma è arrivato.
Li ho guardati e mi dispiaceva lo stesso, mi dispiaceva che un terremoto li avesse cacciati fuori.
Pensavo a quanto sia difficile raccontare. Pensavo: abbiamo raccontato abbastanza a questi ragazzi di quel tempo che pensavamo consegnato al passato? Abbiamo raccontato le nostre paure, le immagini mai cancellate, abbiamo consegnato con le nostre parole la memoria di una stagione? Abbiamo raccontato l'orrore davanti a immagini televisive quando ancora non avevamo a disposizione tutte le informazioni in tempo reale e la notizia ci arrivava lenta come un'onda che poi si abbatteva con uno schianto? Abbiamo raccontato che non c'erano talk show cui assistere perciò eravamo noi a parlarne insieme agli altri, a scuola, nei luoghi di lavoro, nei negozi, per strada e pian piano alimentavamo la nostra coscienza insieme all'angoscia?La coscienza si irrobustiva e reggeva l'angoscia.
Ieri ho pensato che ai giovani giunti in piazza era disponibile solo l'angoscia e ho pensato che dobbiamo tutti, riprendere a raccontare il frammento che abbiamo vissuto e che insieme al frammento degli altri compone un pezzo di storia.
sabato 12 maggio 2012
Torino. Salone del libro.
Torino. Salone del libro. Il prossimo anno mi porto un trolley. Sono entrata, insieme a Claudia, con uno scopo preciso, una serie di incontri con gli scrittori che dall'autunno verranno a condurre i laboratori di Officina Letteraria. Con il mio e-reader in borsa, leggero contenitore dei primi cinquanta romanzi, avevo deciso; niente acquisti a meno di trovare un libro particolare, irreperibile a Genova, impensabile in formato digitale, irrinunciabile. Sono uscita con due borse, due ecoborse, tengo a precisare, una per spalla. Praticamente un mulo col basto. Nonostante il peso, se questi pensieri che sto buttando giù fossero consegnati a una pagina di diario, come quelli che scrivevo da bambina o al tema del lunedì mattina, scriverei: " Sono tornata a casa stanca ma felice". Stanca, a Torino c'erano trenta gradi, io non sono un soggetto programmato per le fiere, dopo un po' mi sento frastornata, incapace di concentrarmi, sballottata dal rumore, dalla immagini, dalla segnaletica. Felice, abbiamo incontrato persone belle, con storie da raccontare, persone capaci di lentezza, persone senza pretesa di avere risposte, con molte domande e con la capacità di non mascherare le emozioni. Non saranno tutti così, gli scrittori, ma quelli che abbiamo incontrato io e Claudia ieri lo sono. In questo periodo di crisi e di poche speranze, saranno i libri a salvarci? Non so. Di certo ci possono aiutare.
venerdì 2 marzo 2012
L'OFFICINA DELLA SCRITTURA
Un mese di Officina Letteraria. Io e Claudia ne abbiamo fatto una questione di principio: non si tratta di un corso ma di un laboratorio. Siamo d'accordo. Le parole docente, allievo, lezione sono al bando. Qualche volta ci sfuggono ma ci correggiamo subito, ci scusiamo perfino. Ogni settimana riceviamo i testi dei partecipanti via mail con qualche riga di accompagnamento: care Emilia e Claudia, care Claudia e Emilia e fin qui niente di strano, siamo noi. Qualcuno ha scritto: care teachers, altri, ironici, hanno cominciato a darci delle guru!
Ma noi come ci definiamo? si chiedevano ieri - allievi no, quindi, visto che è un'officina, operai, manovali...
Apprendisti ! Hanno deciso.
Apprendisti stregoni, ha detto Claudia. Non è andata tanto lontana da una verità: chi racconta storie è un po' stregone, per creare una storia qualche " potere" occorre averlo, il potere di trasformare, il potere di aggregare materia e dividerla, il potere di dar vita ad altri mondi e altre esistenze.
Nel nostro laboratorio siamo tutti apprendisti, anche noi, le teachersguru, in ogni storia che leggiamo e ascoltiamo, anche di poche righe, c'è sempre un orizzonte, più o meno vicino, più o meno lontano. Ecco, in ogni storia c'è un orizzonte cui tendere e non importa se l'orizzonte si sposta sempre un po' più in là. Ricominciare fa parte del lavoro dello scrittore.
Ma noi come ci definiamo? si chiedevano ieri - allievi no, quindi, visto che è un'officina, operai, manovali...
Apprendisti ! Hanno deciso.
Apprendisti stregoni, ha detto Claudia. Non è andata tanto lontana da una verità: chi racconta storie è un po' stregone, per creare una storia qualche " potere" occorre averlo, il potere di trasformare, il potere di aggregare materia e dividerla, il potere di dar vita ad altri mondi e altre esistenze.
Nel nostro laboratorio siamo tutti apprendisti, anche noi, le teachersguru, in ogni storia che leggiamo e ascoltiamo, anche di poche righe, c'è sempre un orizzonte, più o meno vicino, più o meno lontano. Ecco, in ogni storia c'è un orizzonte cui tendere e non importa se l'orizzonte si sposta sempre un po' più in là. Ricominciare fa parte del lavoro dello scrittore.
domenica 12 febbraio 2012
NON SONO UNA BLOGGER
Non sono una blogger. Guardate la data del mio ultimo post: 1 gennaio 2012.
Oggi è il 12 febbraio. Se il blog deve avere il ritmo del diario, decisamente non sono una blogger. La mia giornata è piena zeppa di cose: la famiglia, il lavoro all'Accademia, il lavoro per Officina Letteraria, le persone, gli animali, la scrittura e la lettura, la politica, Facebook...Poichè soffro di horror vacui ho anche aperto questo blog. Forse l'ho aperto anche per sperimentare un nuovo spazio. Per curiosità.
Penso al tempo sempre come a uno spazio perchè cerco di far stare molte cose nel tempo che mi è concesso. Il mio tempo però è una casa troppo piccola.
Aprire un blog è stato come mettere uno scrittoio in un angolino immaginando di potersi appartare, in qualsiasi momento, invece me lo dimentico oppure lo guardo e penso: "adesso mi ci metto", intanto vago per gli altri spazi pensando a cosa posare su quel piccolo scrittoio nell'angolino.
Abitare gli spazi e abitare il tempo. Abitare è possibile solo scegliendo cosa tenere e cosa buttare, cosa è importante e cosa no, cosa ci somiglia e cosa non ci serve. Vale per lo spazio e anche per il tempo.
Sembra facile.
Il blog? Per ora lo tengo.
Oggi è il 12 febbraio. Se il blog deve avere il ritmo del diario, decisamente non sono una blogger. La mia giornata è piena zeppa di cose: la famiglia, il lavoro all'Accademia, il lavoro per Officina Letteraria, le persone, gli animali, la scrittura e la lettura, la politica, Facebook...Poichè soffro di horror vacui ho anche aperto questo blog. Forse l'ho aperto anche per sperimentare un nuovo spazio. Per curiosità.
Penso al tempo sempre come a uno spazio perchè cerco di far stare molte cose nel tempo che mi è concesso. Il mio tempo però è una casa troppo piccola.
Aprire un blog è stato come mettere uno scrittoio in un angolino immaginando di potersi appartare, in qualsiasi momento, invece me lo dimentico oppure lo guardo e penso: "adesso mi ci metto", intanto vago per gli altri spazi pensando a cosa posare su quel piccolo scrittoio nell'angolino.
Abitare gli spazi e abitare il tempo. Abitare è possibile solo scegliendo cosa tenere e cosa buttare, cosa è importante e cosa no, cosa ci somiglia e cosa non ci serve. Vale per lo spazio e anche per il tempo.
Sembra facile.
Il blog? Per ora lo tengo.
Iscriviti a:
Post (Atom)